8/10/2009
La fuga nel monastero durante la peste e l’amicizia coi geni del suo tempo
Scartabellando tra antiche carte ingiallite ho scovato una pagina di un quotidiano napoletano nella quale avevo recensito la mostra su Micco Spadaro(fig. 1) tenutasi nel 2002 alla Certosa di San Martino. Ho ritenuto che, tolto l’incipit, riguardante le opere esposte nella rassegna, si possa trattare di materiale interessante per meglio inquadrare questo pittore ancora poco noto, ma impareggiabile descrittore di cronaca cittadina, per cui la trascrivo per i lettori.
In un panorama ricco di personalità di rilievo internazionale, dal Caravaggio a Luca Giordano, dal Ribera a Solimena, quale è quello rappresentato dal Seicento napoletano, la figura di Domenico Gargiulo non assurge certo al ruolo di protagonista assoluto, ma il suo percorso artistico è quanto mai interessante abbracciando più filoni iconografici, in alcuni dei quali è da considerare più che un innovatore un vero e proprio caposcuola, la cui attività troverà epigoni ed imitatori ben oltre i limiti temporali del XVII secolo, come nel caso delle scene di martirio(fig. 2) o dei quadri di storia e cronaca cittadina, oltre che nella pittura di paesaggio. Inoltre Domenico Gargiulo è un napoletano “doc”, nato e morto nella nostra città, dalla quale non si è mai allontanato
Egli amava ritrarre i tumultuosi avvenimenti della Napoli vicereale: eruzioni, epidemie e rivolte(03 – 04 – 05), indagati con l’occhio attento al più piccolo dettaglio ed alle stesse fisionomie dei personaggi; inoltre paesaggi intricati e misteriosi, rappresentati con rara maestria, angoli suggestivi di rocce marine brulicanti di barche di pescatori.
Seppure da collocare tra i minori, in un secolo così ricco di superstar, bisogna concedergli almeno il privilegio di essere considerato “il maggiore dei minori”.
I grandi napoletanisti lo hanno infatti sempre apprezzato, tra questi il compianto professor Raffaello Causa, leggendario re della nostra sovrintendenza, il quale da giovane amava firmare le sue collaborazioni a quotidiani e riviste con lo pseudonimo di Micco Spadaro.
Il nomignolo gli derivò dal lavoro dal padre, fabbricante di spade, nella cui bottega l’artista lavorò alcuni anni, dilettandosi nel tempo libero a disegnare originali impugnature ed eleganti spadoni, fino a quando il genitore, contrario a queste sue inclinazioni, non lo mise alla porta, facendolo precipitare in un periodo di fame e disperazione, da cui si sollevò con l’ingresso, all’età di 18 anni nella famosa bottega di Aniello Falcone, ove conobbe Salvator Rosa col quale si creò una profonda emulazione, dedicandosi entrambi agli stessi generi, allora molto richiesti da una committenza laica. Quadri di paesaggio, scorci di marine, calca di popolo.
Il Nostro fu attento osservatore delle stampe di Callot e di Stefano Della Bella, dai quali prese ispirazione per le sue caratteristiche figurine allungate con la testa piccola e per il modo di assemblare i personaggi nelle composizioni più affollate.
Dal 1635 al 1647 Il Gargiulo collaborò col Codazzi, bergamasco, specialista in architetture fantastiche(fig. 6), che Domenico animerà con figurine vivacissime; un sodalizio durato quasi quindici anni cementato da una fraterna amicizia, che riscosse un enorme successo tra una folta clientela di collezionisti privati stanchi di soggetti devozionali e bramosi di adornare le proprie dimore con quadri di argomento profano.
Nello stesso periodo un vicendevole scambio culturale si ebbe tra Gargiulo e lo Schonfeld, un pittore tedesco che soggiornò a Napoli per un decennio, specializzato in soggetti biblici e scene di martirio.
Un lungo rapporto di lavoro è documentato tra lo Spadaro e i frati della Certosa di San Martino: nel 1638 affresca il Coro dei Conversi con finti arazzi, in preda ad un immaginario vento(fig. 7). Dal 1642 al 1647 è incaricato di affrescare il Quarto del Priore con una serie di paesaggi in cui è palpabile l’influsso della pittura nordica. Il Gargiulo continuerà ad avere un legame preferenziale con i monaci della Certosa ove troverà rifugio e salvezza durante la terribile peste del 1656, che decimò la popolazione napoletana e spazzò via un’intera generazione di pittori. Al termine del calamitoso morbo volle rappresentare lo scampato pericolo in un gigantesco ex voto “Rendimento di Grazia”(fig. 8), ricco di sessantotto personaggi tutti rappresentati con precisione fisionomica, dal cardinale Filomarino allo stesso pittore, che ci fornisce in questa tela il suo unico autoritratto, ai monaci dai volti rubizzi e giocondi e dallo sguardo stralunato.
Partecipò con altri artisti della cerchia falconiana all’importante commissione per adornare il palazzo del Buen Retiro di Filippo IV a Madrid con soggetti di storia dell’antica Roma: committenza avvenuta nel 1635 per volere del conte di Monterey, viceré spagnolo a Napoli.
Nelle pale d’altare a figure grandi non si espresse ad alto livello ed in questo campo è da considerare semplicemente un minore stanzionesco(fig. 09).
Ben altra qualità il Gargiulo raggiunse nei quadri di storia e cronaca napoletana, popolata da santi, eroi e gente della plebe, prelevati dalla coloratissima realtà dei vicoli napoletani. In tutte queste tele lo Spadaro ebbe modo di manifestare le sue doti di brillante illustratore di episodi di cronaca ufficiale e popolare di alto contenuto drammatico ed emozionale, rilevando un interesse agli avvenimenti più significativi della vita civile cittadina ed una partecipazione sincera ai destini di Napoli e dei napoletani; il tutto attraverso un uso raffinatissimo e personale di macchie cromatiche, dal denso impasto con una pennellata libera ed estrosa, efficace nel descrivere i tempestosi sentimenti dell’animo umano e lo scorrere ineluttabile degli avvenimenti.
Scampato alla peste, come ci racconta il De Dominici, celebre biografo settecentesco al quale siamo debitori di tutte le notizie sull’artista, frequentò la bottega di un commerciante di quadri, un tal Aniello Mele, dove ebbe modo di conoscere i pochi pittori sopravvissuti dopo la terribile peste, tra questi Andrea Vaccaro, Giovan Battista Ruoppolo e soprattutto Luca Giordano, da cui trasse alcuni elementi neoveneti che ingentilirono la sua pittura, la quale acquisì colori più luminosi e più caldi. Le opere dell’ultimo periodo non sono numerose e tra queste la più famosa è la Circoncisione della collezione Molinari Pradelli.
Egli proseguì la sua attività fino agli ultimi ani della sua vita come è testimoniato da una polizza di pagamento del 1670, reperita nell’archivio del Banco di Napoli, nella quale il pittore riceve trenta ducati per un quadro raffigurante il Martirio di san Gennaro(fig. 10), di palmi quattro per cinque(cm. 100 – 125 circa), forse quello oggi in collezione della Ragione a Napoli.
Discepoli ed imitatori il Gargiulo ne ebbe tanti, a giudicare anche dall’enorme numero di quadri che di continuo, e spesso erroneamente, gli vengono attribuiti. Tra gli allievi più significativi ricordiamo Ignazio Oliva, Giuseppe Piscopo e Pietro Pesce, quest’ultimo risorto di recente da un oblio secolare con alcune tele firmate comparse sul mercato antiquariale.
Ed infine vogliamo cogliere l’occasione per correggere l’anno della morte dell’artista, fino ad oggi indicato su tutti i libri al 1675, come si evince da una lettera informativa sullo stato delle arti a Napoli, fatta conoscere dal Ceci, che Pietro Andreini inviò al cardinale Leopoldo De Medici, in cui dichiarava che “ Micco Spadaro, pittore di figurine e di paesi, morì che sono tre anni”. Il Ceci riteneva che tale nota fosse stata inviata nel 1678, ma grazie alle diligenti ricerche del Ruotolo, pubblicate nel 1982, si è identificato il giorno esatto nel 20 dicembre 1675, per cui la data della morte è lapalissiano che debba retrocedere al 1672, come da noi già suggerito da alcuni anni a pagina 100 della nostra opera “Il secolo d’oro della pittura napoletana”.
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