20/4/2010
Se un mese fa avessimo chiesto a cento persone di media cultura chi fosse stata Ipazia, possiamo essere certi che solo pochi ne avevano vagamente sentito il nome, oggi, dopo che quotidiani e riviste le hanno dedicato fiumi di inchiostro, il personaggio ci è divenuto familiare e tutti noi attendiamo con ansia l’uscita del film spagnolo a lei dedicato, un vero capolavoro; posso affermarlo per averlo visto mesi fa a Barcellona, a differenza di tanti critici improvvisati ed incauti che lo hanno recensito senza averlo visionato. La scena della biblioteca di Alessandria avvolta dalle fiamme è semplicemente da antologia.
Da tempo circola in Italia uno spettacolo teatrale: il Sogno di Ipazia, un monologo avvincente nel quale la grande e bella matematica alessandrina ci racconta le sue scoperte e le sue emozioni, confessando anche i suoi innocenti peccati veniali, tra cui la vanità per il suo aspetto fisico, che attirava forse quanto la sua intelligenza e la sua cultura. Lo spettacolo si conclude col martirio della donna avvolta tra le fiamme che bruciarono la biblioteca di Alessandria, distruggendo tutto il sapere antico, un crimine tra più efferati della storia contro l’umanità, ma Ipazia può urlare orgogliosa brucia il mio corpo, ma il pensiero non brucia.
Di lei hanno parlato, a parte le scarne fonti antiche, tra cui il lessico bizantino Suda, Voltaire nell’Encyclopedie, Gibbon nel suo monumentale Declino e caduta dell’impero romano, Shelley che ne fece un’eroina romantica, Eco nel romanzo Baudolino, Luzi in un suo emozionante dramma del 1978.
Molti siti femministi avevano da tempo una sua foto nella home page, anche se poi le notizie sulla sua vita e sulle opere erano lacunose o inesatte. Chi ci assicura che fosse bella? E vergine, qualcuno ha controllato?
A Roma si è tenuto nei giorni scorsi presso la sede dell’Enciclopedia Treccani un affollato dibattito, che si poteva anche seguire via intranet sul sito della Fondazione, durante il quale, storici, letterati e scienziati di fama(Canfora, Ronchey, Ossola, Giorello e Caramore) hanno discusso sul rapporto tra religione e laicità, tra scienza e fede, tra femminile e maschile. Su tutti gli argomenti aleggiava il fantasma di Ipazia, divenuta il simbolo ingombrante del contrasto tra gli Elementi di Euclide e la Bibbia, tra il pensiero matematico greco e la mitologia ebraico cristiana.
Ipazia, nata nel 370, era la figlia di un matematico, inventrice del planisfero e dell’astrolabio, fu a capo della scuola neoplatonica alessandrina e tra i suoi allievi ebbe personaggi di spicco, come Sinesio di Cirene, al quale siamo debitori delle poche notizie sulla sua vita, mentre tutti i suoi scritti sono andati perduti.
Ella fu vittima dello scontro tra il cristianesimo e la cultura pagana, di cui era la rappresentante più in vista ed il film tra poco in Italia, un duro atto di accusa contro tutti i fanatismi religiosi, ha il merito di presentarci per la prima volta i cristiani come ottusi massacratori dei pagani, raffigurati come colti e raffinati. La pellicola è la storia di una donna, di una città, di una civiltà e rappresenta una realtà del passato di stringente attualità: Ipazia ed i pagani vengono dilaniati in nome di Dio, ma cosa vi è di diverso da quanto accade oggi in Palestina, in Africa, in Indonesia? Massacri in nome di un Dio ritenuto migliore.
Da poco era in vigore l’Editto di Teodosio del 391, che aveva proclamato il cristianesimo religione di stato e lentamente il vecchio impero romano venne divorato dall’interno dalle nuove elites culturali, costituite dal clero che si trasformava in burocrate ed amministratore, vescovi che si trasformavano in plenipotenziari.
Ipazia finì a pezzi bruciata, dopo essere stata denudata e scorticata viva dai parabolani, il braccio armato del vescovo Cirillo, che giravano con forche e bastoni, veri squadroni della morte e picchiavano a sangue chiunque fosse in odore di eresia. Assetato di potere Cirillo si servì più volte dei loro spietati manganelli, come nel 451, quando al Concilio di Efeso, fece uccidere alcuni vescovi siriani che volevano portare avanti una tesi diversa dalla sua.
Per i suoi meriti, divenne santo e dottore della Chiesa, mentre il nome di Ipazia condannato all’oblio.
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