venerdì 30 marzo 2012

Un poco noto primato napoletano

2/11/2009

Napoli, soprattutto sotto i tanto bistrattati Borbone, è stata in primo piano con importanti innovazioni nel campo industriale e scientifico; tra i tanti primati ricordiamo la prima ferrovia italiana (seconda nel mondo) la Napoli Portici, inaugurata nel 1839. Il Seicento viene viceversa ricordato come un secolo buio, segnato da una crisi economica strisciante e da precarie condizioni di vita per la numerosa popolazione, che faceva di Napoli, con circa 400.000 abitanti, la seconda metropoli europea dopo Parigi.
Un libro di Daniele Casanova: Fluent ad eum omnes gentes. Il Monte delle Sette opere della Misericordia nella Napoli del Seicento ci illumina su un aspetto poco noto della benemerita istituzione, celebre per aver commissionato a Caravaggio la superba pala d’altare illustrante le Sette opere della Misericordia, una tela che diffonderà tra gli artisti partenopei un nuovo messaggio pittorico, che diverrà verbo e condizionerà positivamente gli sviluppi del secolo d’oro della pittura all’ombra del Vesuvio.
In quegli anni tutta l’Europa conosce, alle soglie della modernità, i morsi della fame e la miserevole condizione della povertà, per un cospicuo incremento della popolazione e per un lungo periodo di stasi nella produzione agricola ed industriale.
La pauperizzazione, un termine caro agli studiosi del fenomeno, mette a nudo diseguaglianze sociali ed anacronistici privilegi ed impone un programma di assistenza da parte dello Stato verso le legioni di nuovi poveri.(Una situazione di imbarazzante attualità che vede oggi ghermiti dalla crisi finanziaria mondiale sempre più persone, abituate ad una vita dignitosa, verso il baratro della più opprimente povertà).
Nella Napoli alle soglie del Seicento lo Stato è lontano e sordo alle esigenze dei cittadini, essendo la gloriosa capitale un vice regno, amministrato dagli spagnoli unicamente con l’obiettivo di trarne risorse per la loro politica imperiale. Necessita perciò un’azione vicaria da parte della nobiltà e dei ricchi, basata su un imperativo etico che i napoletani non lasciano inascoltato. Sorgono perciò, già nel Cinquecento, numerose istituzioni caritatevoli che si propongono di aiutare i più bisognosi, prestando denaro su pegno, i tanti Banchi che confluiranno poi nel Banco di Napoli o i Pellegrini, che ospitano e curano tutti coloro che si spostano verso Roma ed altri luoghi di fede ed anche in campo sanitario con gli Incurabili sorgerà un ospedale efficiente invidiato per secoli anche all’estero.
L’autore, attraverso l’esame di numerosi documenti conservati nell’archivio del Pio Monte, ha dimostrato che, a fianco all’attività caritatevole, nel tempo, la famosa istituzione, che ancora oggi esercita le sue funzioni, ha praticato il credito derivante dalle numerose donazioni in maniera discreta quanto efficiente, al punto da identificarsi con un vero e proprio istituto finanziario. 
Un’amministrazione scrupolosa di investimenti, prestiti e gestione del patrimonio, che ha creato un virtuoso intreccio tra carità e finanza, a dimostrazione di un dinamismo imprenditoriale, come sottolinea Aurelio Musi nell’introduzione, in contrasto con l’immagine stereotipata di un meridione immobile economicamente durante il Seicento, mentre il sud e la sua capitale decadevano sempre più.
Dai numerosi libri dei conti, come in campo artistico dal capolavoro di Caravaggio, ci rimbalza la scoperta piacevole di una città che seppe accettare le sfide della modernità e seppe porsi, ieri più di oggi, tra le più importanti città europee.

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