sabato 31 marzo 2012

Carlo Carafa un illustre personaggio della Napoli seicentesca

19/5/2010

Era il 1977, sembra ieri, invece è trascorsa gran parte della mia vita, la professione andava a gonfie vele, per cui con mia moglie Elvira decidemmo di poter acquistare un po’ di quadri del Seicento napoletano, del quale eravamo appassionati.
Avevo l’abitudine di acquistare il Mattino il sabato notte per poter leggere in anteprima la rubrica delle vendite. All’epoca i tanti giornali come Bric brac o Fiera città non esistevano e l’unico modo per fare un affare era quello di telefonare prima degli altri. Fui attratto da un annuncio originale: ”Vendo 13 quadri del Seicento 13 milioni”. Pareva una vendita a peso e la curiosità si mischiò alla meraviglia quando scoprimmo che l’ignoto venditore abitava nella Pignasecca, uno dei tanti quartieri diseredati della città.
Preso l’appuntamento esitavamo a salire. Era un palazzo buio e puteolente alle spalle dell’ospedale dei Pellegrini, senza ascensore e bisognava raggiungere il quinto piano. Ci facemmo coraggio e salimmo. Ci ricevette uno zotico dal volto patibolare, che ci mostrò le tele accantonate in un angolo della cucina. 
Scoprimmo che il personaggio era un impiegato dell’istituto delle Opere pie di Napoli ed aveva acquistato i quadri per una mangiata di fave ad un’asta giudiziaria provocata dalla richiesta della giunta Valenzi di tributi arretrati. 
I dipinti erano in pessimo stato di conservazione, ma avevano delle cornici molto appariscenti. Chiedemmo di poter tornare con un esperto e l’improvvisato venditore ci ingiunse di fare presto, perché aveva bisogno di spazio dovendo a giorni fare le bottiglie di pomodoro.
Tempo ventiquattro ore ed eravamo di nuovo alla carica accompagnati dal dottor Ciro Fiorillo, funzionario della sovrintendenza, che ci fece scegliere sei quadri. Ricordo uno in particolare che disse di comprare, anche se si sarebbe dovuto buttare la tela, ne sarebbe uscito uno splendido specchio, invece poi il restauro riesumò un lavoro di Giovan Bernardo Lama.
Tra questi acquisti ero stato attratto da un austero personaggio(fig. 1) che contavo di spacciare con gli amici per un celebre antenato, ma la pulitura evidenziò una scritta in latino dalla quale trapelava l’identità del soggetto: Carlo Carafa, il fondatore della Congregazione dei Padri Pii Operai. Il nobiluomo è raffigurato nell’atto del comando con l’indice della mano sinistra rivolto verso l’alto e con nella mano destra una bacchetta impugnata in senso d’autorità.
Non potendo trasformarlo in un trisavolo mi dedicai a studiare la sua vita, raccogliendo qualche notizia inedita che voglio ora trasmettere ai miei pochi ma affezionati lettori.
Carlo Carafa apparteneva alla famosa famiglia napoletana, che con i Caracciolo ed i Capece, costituirono le famose tre”C”(non quelle del caffè) del vicereame, che ora alleate, ora nemiche del popolo, crearono la leggenda di Napoli fedelissima alla corona di Spagna. Egli nacque nel 1561 a Mariglianella di Nola da don Fabrizio Carafa e da donna Caterina di Sangro. Rimase orfano a cinque anni e stette in collegio dai Gesuiti. Entrò poi nella Compagnia di Gesù, ma dovette uscirne perché malato di tubercolosi. Ristabilitosi dopo energiche cure si dedicò sorprendentemente alla carriera militare.
A 23 anni divenne capitano di fanteria nella guerra contro i Luterani nelle Fiandre e contro i Turchi, liberando la città di Patrasso.
Ritornato a Napoli, dopo essersi lasciato trasportare, per un periodo, dal “bollore delle passioni” e dai cattivi esempi tipici delle milizie, decise di prendere l’abito di Chiesa; ritornò a studiare Filosofia e Teologia: il primo Gennaio del 1600 venne ordinato sacerdote.
Dopo aver a lungo meditato in solitudine in una grotta di tufo naturale ai piedi della collina di San Martino fu nominato dall’Arcivescovo di Napoli, nel 1602, Visitatore generale della sua Diocesi. I mesi di isolamento e preghiera gli fornirono la forza necessaria per travolgere la città con la sua battaglia in favore dei poveri, dei diseredati e delle donne perdute. In questo periodo fondò il Conservatorio delle Illuminate, detto poi del Soccorso. 
Si distinse per la dedizione che dava agli ammalati dell’Ospedale degli Incurabili di Napoli, impegno che continuò per tutta la vita, anche se non più a tempo pieno. 
Insieme ad alcuni sacerdoti napoletani, iniziò nel 1602 la predicazione di missioni rurali, percorrendo a piedi i paesi e le contrade dei dintorni di Napoli, sollevando gli oppressi, istruendo gli ignoranti, confortando i moribondi, istituendo conservatori e orfanotrofi, fondando chiese e conventi in Napoli e provincia. 
Istituì così nel 1602 la Congregazione della Dottrina Cristiana, che nel 1621 cambierà il nome in Congregazione dei Pii Operai, con lo scopo dell’assistenza e istruzione della gente rurale delle campagne e dei sobborghi della città, che era maggiormente abbandonata. 
Nel 1606 costruì il Santuario della Madonna dei Monti ai Ponti Rossi in Napoli, che divenne la culla della nascente Congregazione e il noviziato dei Pii Operai. Lo sviluppo della Congregazione permise l’apertura di altre case e di chiese a loro affidate, come la chiesa di S. Giorgio Maggiore in via Duomo a Napoli, di S. Nicola alla Carità in via Toledo nel centro di Napoli e a Roma S. Balbina, S. Maria ai Monti e S. Giuseppe alla Lungara. 
Nella sua molteplice attività padre Carlo Carafa evangelizzò le tribù di zingari accampati, allora come oggi, nella periferia della città, assisteva i condannati a morte; cercò inoltre di istruire e convertire gli schiavi maomettani e di far cambiare vita ad infinite meretrici, per le quali fondò appositi ricoveri. Fu l’artefice della grande processione penitenziale da lui guidata per le strade di Napoli, per impetrare la cessazione della disastrosa eruzione del Vesuvio del 1631, fu tanta la partecipazione a quella penitenza, che moltissimi peccatori si convertirono e presero a confessarsi in massa dai Pii Operai nella Chiesa di S. Giorgio Maggiore, altrettanto fecero un gran numero di meretrici, per le quali fu necessario fondare un altro conservatorio detto poi dal popolo “delle Pentite”. 
Sembrava non avesse mai un momento libero; la sua vita era spesa interamente per il prossimo; fu più volte Preposito Generale del suo Ordine, ma quando nel 1633 lo volevano rieleggere, egli rifiutò, dicendo che voleva prepararsi da suddito alla morte, che profetizzò doveva avvenire in quell’anno, infatti morì l’8 settembre 1633 a 72 fra il compianto generale dei napoletani.
Il suo corpo riposa nella Chiesa di S. Nicola alla Carità in Napoli ed è meta tuttora di numerosi devoti.
La sua Congregazione ebbe uno sviluppo notevole fra Napoli, Roma e dintorni nei secoli XVII e XVIII; nel 1656 sfiorò l’estinzione, quando tutti i suoi membri, nell’assistere gli appestati, contrassero la malattia morendo, solo quattro sopravvissero. 
Con le soppressioni napoleonica e post-garibaldina, l’Istituto perse le fonti di sostentamento dell’immensa opera caritatevole che svolgeva e dovette chiudere le varie Case e Opere; nel 1943 la Santa Sede univa ai Pii Operai la Congregazione dei Catechisti Rurali (Missionari Ardorini), fondata dal servo di Dio don Gaetano Mauro. 
Oggi la Congregazione ha assunto il nome di Pii Operai Catechisti Rurali (Missionari Ardorini), per continuare nel presente e nel futuro, le gloriose tradizioni di santità e di servizio alla Chiesa ed alle anime che nei secoli l’ha contraddistinta. 
Un napoletano illustre le cui gesta pochi oggi conoscono e che merita di essere ricordato.

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