venerdì 30 marzo 2012

Il Capodanno degli afflitti

1/1/2010

Ieri, nel carcere femminile di Pozzuoli, le detenute, con le lacrime agli occhi, hanno simbolicamente inviato gli auguri di un anno migliore ai propri cari lontani, facendo levitare verso il cielo dei palloncini colorati, con  legate delle lettere, nelle quali erano racchiuse la loro struggente malinconia e la speranza di poter un domani riacquistare il bene prezioso della libertà.
Sono messaggi carichi di emozioni, di sentimenti, di nostalgia, di dignitosa sofferenza, raccontati con parole semplici e possiamo immaginare che una detenuta analfabeta abbia voluto indicare soltanto alla rinfusa le lettere dell’alfabeto, con la speranza che il palloncino, volando alto nel cielo, giunga laddove qualcuno sappia leggere nell’animo e sappia trasformare vocali e consonanti in una preghiera.
Per chi è dietro le sbarre i giorni trascorrono  tutti eguali, ma le festività sono vissute con grande tristezza, per la lontananza dagli affetti ed il freddo colpisce dritto al cuore.
Il cielo, anche se nuvoloso, rappresenta l’unico spazio di fantasia e fa invidiare la vita di  un gabbiano che può volare felice.
Chi in questo momento si sta affannando a correre nei negozi ad acquistare cose inutili o a celebrare con pantagrueliche abbuffate un rito oramai divenuto pagano, dovrebbe fermarsi un attimo a riflettere, cercando di meditare sulla transitorietà della condizione umana e pensare a tutti coloro che non hanno nulla da festeggiare e sono esclusi dalla infinità baldoria delle festività. 
Non solo i credenti, ma tutti gli uomini di buona volontà si fermino almeno un momento nella loro folle corsa e pensino ai detenuti, agli ammalati, ai poveri, agli ultimi della Terra, per i quali un destino avverso ha riservato soltanto tristezza ed infelicità.

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