11/12/2010
La sanità campana è oggi allo sfascio per la disastrosa condotta dei nostri amministratori, che per decenni hanno pensato unicamente a gonfiare i bilanci di spese inutili ed a curare solo e soltanto le proprie fameliche clientele.
Medici scelti in base a meriti politici e reparti affollati da una pletora di personale parasanitario assenteista e litigioso, apparecchiature costosissime per anni nei depositi e liste d’attesa chilometriche per qualsiasi prestazione.
Una situazione da quarto mondo, degna di un Paese incivile, che avvilisce e mortifica i cittadini, ma non è stato sempre così, anzi per secoli gli ospedali napoletani sono stati all’avanguardia in Europa ed hanno proiettato un luminoso faro di civiltà e di conoscenza scientifica, che tutto il mondo ci invidiava.
La storia della città attende ancora uno studioso che voglia dedicare le sue energie a ricostruire l’affascinante epopea degli antichi ospedali napoletani, sorti per soccorrere malati e pellegrini e divenuti poi un virtuoso crogiuolo dove si sono incrociate nei secoli fede ed arte, scienza e carità.
Gli archivi napoletani, ricchi oltre misura, opportunamente compulsati, potrebbero fornire una messe di documenti e notizie in grado di creare un corpus, sul quale poi lavorare per illuminare un capitolo poco noto che, una volta definito, produrrebbe un cospicuo avanzamento delle conoscenze artistiche, topografiche e civili di una città per tanto tempo gloriosa capitale.
Dal periodo normanno fino all’Unità d’Italia gli ospedali napoletani rappresentarono l’unico punto di riferimento per l’intero regno, una funzione che, pur se in misura ridotta, rivestono ancora oggi verso l’hinterland e la stessa regione.
Alcune di queste strutture sanitarie, come i Pellegrini, il San Gennaro, l’Ascalesi, l’Annunziata e gli Incurabili costituiscono anche oggi il cuore dell’assistenza medica per gli abitanti del centro antico. L’antica capitale del regno poteva vantare oltre 150 luoghi di assistenza agli infermi.
Nosocomi ultracentenari che rispondono ancora efficacemente alla richiesta di salute e di ricovero di oltre metà della popolazione, mentre altri storici istituti di cura come l’ospedale S. Maria della Fede, il S. Andrea, la Cesarea, il Lazzaretto ed il famosissimo ospedale della Pace sono stati trasformati o più spesso abbandonati al degrado.
Costruiti durante il vice regno spagnolo, quasi tutti per la lungimiranza di don Pedro da Toledo e ben poco modificati in seguito, riescono a coniugare vecchi corridoi di monasteri con le moderne esigenze dell’assistenza medica. Spesso forniti di mura e strutture poderose, progettate da grandi architetti, dal Vanvitelli ed il Fuga a Domenico Antonio Vaccaro hanno brillantemente superato la prova del tempo resistendo a numerosi terremoti.
Di alcuni ci rimane solo il ricordo, come nel caso del primo nosocomio, costruito da S. Aniello sul pendio di quel colle, chiamato più tardi S. Aniello a Capo Napoli, da sempre punto di riferimento per i presidi ospedalieri cittadini o soltanto modesti ruderi come nel caso del Lazzaretto di Nisida, in funzione fino al 1860 ed oggi riconoscibile solo per qualche traccia muraria lungo il ponte che collega l’isolotto alla terraferma, a differenza dello splendido gemello situato nell’ambito dell’ex ospedale della Pace, un gioiello che meriterebbe di essere conosciuto da indigeni e turisti e che viceversa non è neppure aperto al pubblico.
Anche dell’ospedale di San Giovanni a Mare, il più antico in assoluto, rimane solo un flebile ricordo ed il proposito, mai attuato, di costruirne uno nuovo lì dove sorgeva, in un’area oggi affollata da cadenti abitazioni e infimi esercizi commerciali.
Durante gli anni bui delle guerre medioevali, le quali distrussero ogni traccia di ordine sociale, le pie istituzioni napoletane, che vivevano all’ombra della fede, non ebbero a subire alcun danno, anzi esse si andarono moltiplicando fino a raggiungere nel XIII secolo, con gli Angioini, il massimo della loro attività. E nacque allora, proprio dove era caduto il giovane e bellissimo capo dello svevo Corradino, quel grandioso ospedale di S. Eligio, opera più di espiazione che di amore, con la quale il re Carlo I sperò di dar pace ai rimorsi del suo cuore.
E fu sotto il regno di suo figlio Roberto, sposo alla regina Sancia, che sorse la Real Casa dell’Annunziata, il più famoso brefotrofio d’Europa, il quale non ha mai smesso di funzionare dal lontano 1320 e svolge ancora oggi la sua meritoria opera, reso celebre dalla famigerata Ruota degli esposti, attraverso la quale sono transitati innumerevoli pargoli abbandonati dalle mamme ed affidati al grande cuore della città ed all’amorevole attenzione delle monache.
Nei decenni successivi fu tutto un fiorire di iniziative in soccorso non solo dei malati, ma anche dei più deboli. Ecco così sorgere al fianco dell’ospedale per i gentiluomini poveri, fondato dalla nobile Giovanna Castriota e dell’ospedale per gli stranieri, nato per l’interessamento degli stessi forestieri, con annesso un convalescenziario, altre istituzioni come il ricovero per le donne discordi dai mariti alla Scorziata, l’ospizio di S. Maria di Loreto per gli orfani e quello di S. Onofrio per i vecchi.
Fino a giungere nel 1522 alla nascita del più grosso ospedale del tempo, quello di S. Maria del Popolo agli Incurabili, grazie all’animo generoso e pio di Maria Lorenza Longo, vicino al quale sorge, scandalosamente chiusa da tempo immemorabile, la Cappella dell’Arciconfraternita dei Bianchi, dedita all’assistenza dei condannati a morte, che conserva nell’oratorio l’impressionante statua in cera della Scandalosa, raffigurante il cadavere di una prostituta divorato dai vermi, magistralmente descritto da Salvatore Di Giacomo in una sua novella e dove i superstiziosi venivano ad acquistare pezzettini di corda usati per le impiccagioni, un macabro amuleto contro il malocchio.
Il complesso degli Incurabili, noto all’epoca in tutta Europa per la bravura dei medici e per i benefici delle cure, nasce per il voto di una nobildonna e prende il nome dai suoi ricoverati, non inguaribili, bensì incurabili, perché nessuno voleva prendersi cura di loro. I visitatori del Gran Tour spesso lo visitavano alla pari delle bellezze naturali e per secoli ha funzionato non solo come ospedale, ma anche come università, anzi era sede già dalla metà del Settecento di un collegio medico cerusico con regole rigide e gli studenti erano seguiti come in un moderno collegio.
Ivi furono praticate le prime anestesie ed il primo taglio cesareo, furono applicati i primi rudimentali cateteri e furono adoperati svariati ferri chirurgici originali forgiati da artigiani napoletani. Celebri sanitari hanno esercitato nelle corsie del superbo nosocomio da Domenico Cirillo e Domenico Cotugno, ad Antonio Cardarelli fino allo stesso Moscati prima di diventare santo. E tanti altri santi e beati hanno lavorato a vario titolo nelle corsie del celebre nosocomio, da Gaetano Thiene ad Andrea Avellino, da Francesco Caracciolo ad Alfonso Maria de’ Liguori, fino a don Placido Baccher ed alla santa dei quartieri spagnoli Maria Francesca delle cinque piaghe.
Purtroppo un rovinoso incendio ha distrutto quasi completamente il suo archivio, provocando un irreparabile danno alla storia della medicina meridionale ed al benemerito studioso che volesse dedicarsi al recupero della memoria storica di quella che fu una grande capitale dotata di una rete di ospedali, che tutto il mondo ci invidiava.
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