martedì 3 aprile 2012

Replica autografa di un capolavoro del Santafede


1/11/2010

La cortesia dell’ingegner Paolo Onofri, il quale ci ha concesso il privilegio di visitare la sua spettacolare pinacoteca privata ricca di ben 350 dipinti, ci ha permesso di identificare una replica autografa(fig. 1), siglata e di eguali dimensioni, di uno dei capolavori seicenteschi di Fabrizio Santafede: la Lavanda del Bambino(fig. 2) conservata nella pinacoteca dei Gerolamini.  
Il Santafede è una delle figure di maggiore spessore culturale che lavora a Napoli tra la fine del Cinquecento ed i primi decenni del Seicento Egli si farà interprete di un nuovo modello di pittura devozionale, realistico ma pieno di decoro, che resterà egemone per molti anni, fino all’avvento di una lettura pietistica del naturalismo caravaggesco da parte di una nuova generazione di  artisti locali attivi tra il 1620 ed il 1630.
Fabrizio Santafede, attivo dal 1576 al 1623, importa in area meridionale la corrente toscana che cercava di coniugare la tradizione pittorica fiorentina a quella veneziana. L’artista si fa fautore di un nuovo modo di interpretare la storia sacra con un patetismo contenuto ma efficace. La luce nei suoi dipinti, a differenza di quella cavaraggesca, potente nel rilevare impietosamente ogni aspetto della realtà, si posa delicatamente su persone ed oggetti ed anche quando l’ombra è profonda permette una lettura completa della figura nel rispetto del disegno e della composizione.
Egli è stato paragonato a sommi pittori come Murillo o ad abili mestieranti come Santi di Tito, ma a nostro giudizio il paragone che meglio rende la lunga attività dell’artista è quello con Massimo Stanzione. Alla pari del collega seicentesco il Santafede volle cantare la poetica degli affetti, la serenità e la gioia della famiglia, come nella Lavanda del Bambino, che meglio si potrebbe chiamare Bagno di Gesù Bambino, conservato nella quadreria dei Gerolamini, che più che un quadro sacro dà l’impressione di una tranquilla scena nell’intimità domestica, una sacra conversazione.
Il delicato problema del luminismo naturalista fu affrontato con un occhio attento ai quadri notturni del Bassano e della sua bottega, che furono molto richiesti per decenni anche nel meridione e si giovarono del successo del verbo caravaggesco. In un suo celebre dipinto come la Resurrezione(fig. 3), eseguito nel 1608 per il Monte di Pietà, il Santafede utilizza un effetto di lume notturno accentuato da lampeggiamenti, drammatico ed efficace, dando prova di un’originale interpretazione veneziana del caravaggismo.
Tutte le più importanti collezioni napoletane, da quella dei Filomarino agli Spinelli di Tarsia, si vantavano di possedere tele del Santafede, del quale le fonti ci tramandano anche una notevole attività di ritrattista di ispirazione fiamminga: analitica e descrittiva. Pochi esempi ci sono pervenuti e tra questi il principale è il Ritratto del viceré conte di Olivares e della moglie conservato a Madrid nella raccolta del duca d’Alba, mentre la sua abilità si può apprezzare anche nelle fisionomie dei committenti in alcune pale d’altare come in quella giovanile di Matera o nella tela per la chiesa dei Sette dolori.
Non possiamo giudicare le sue qualità di decoratore, che, sul finir della carriera, lo videro all’opera con Battistello per due anni nei perduti affreschi della Cappella del Tesoro.
Numerosi sono i suoi quadri per importanti committenti nel primo e secondo  decennio del secolo, mentre la sua bottega, assai prolifica, era in grado di soddisfare ordini che venivano non solo da Napoli e dal viceregno, ma dalla Spagna e dalle altre regioni italiane. 
La Lavanda del Bambino è assieme ai Figli di Zebedeo davanti a Cristo(fig. 4) tra le opere dell’artista più citata  e lodata dalle fonti e la sua datazione va posta verso gli inizi del secondo decennio, quando l’iscurimento delle ombre e qualche gioco luministico di superficie testimoniano di un certo interessamento per la lezione del Caravaggio, che va ad affiancarsi a quello ben più sedimentato per i fiorentini venetizzanti come il Passignano.
Il quadro va posto in stretta successione con la Sacra famiglia con S. Lucia (fig. 5) conservata nella pinacoteca del Pio Monte della Misericordia, della quale cogliamo l’occasione per pubblicare un’inedita replica autografa(fig. 6) di collezione privata napoletana e la Madonna  col Bambino e San Gaetano  Thiene della Galleria Harrach di Vienna, in una posizione parallela rispetto alla già citata tela con i Figli di Zebedeo.
Il De Dominici nel 1742 parla in tono entusiastico della Lavanda del Bambino: ”Vi è ancora nella medesima Sagrestia una Beata Vergine al naturale infino alle ginocchia, che fa atto di lavar Gesù Cristo in una conca di rame, nel mentre una donna scalda un pannicello e un fanciullo le porge l’acqua e questo quadro è migliore dell’altro( i Figli di Zebedeo)  per la tinta e la freschezza del colore, ma la Vergine ha lo stesso volto di un certo naturale, del quale solea egli servirsi di una congiunta… che veramente non ha in sé tutto quel nobile  e gentile, né quella idea divina che si deve alla Regina dei Cieli”. 
Il dipinto è inoltre citato in molte antiche guide, in particolare dal Celano(1692), dal Sigismondo(1788 – 89), dal Catalani(1845), dal Chiarini(1856 – 60) e dal Galante(1872).
La tela della collezione Onofri(fig. 7) va collocata in quella produzione, a volte di dimensione più ridotta, che l’artista eseguiva per una committenza privata. Nel caso in esame il dipinto era collocato nella cappella di famiglia, dove si trovava da epoca immemorabile. Tutti questi quadri a carattere devozionale erano segnati da una dimensione domestica ed il sommesso realismo del pittore a volte era più accentuato che nella più impegnata produzione destinata agli altari delle chiese. Ed è proprio in questi lavori, spesso non affatto minori e contraddistinti da un pacato pietismo e da una quiete retorica degli affetti che il confronto Santafede - Santi di Tito, come ha sottolineato Leone de Castris massimo studioso dell’artista, si trasforma con più facilità e naturalezza in quello Santafede - Murillo, inducendo a volte in errori attributivi la critica meno avvertita.
Bibliografia
De Dominici B. – Vite de’ pittori, scultori ed architetti napoletani, II, pag. 233 – Napoli 1742
Causa R.  - Opere d’arte del Pio Monte della Misericordia, pag. 103 – Napoli 1970
Previtali G. – La pittura del Cinquecento a Napoli e nel Vicereame, pag. 156, num. 93 – Torino 1978
de Castris P. – Middione R. – La Quadreria dei Gerolamini, pag. 72 – 73 – Napoli 1986
de Castris P. – Pittura del Cinquecento a Napoli. 1573 – 1606 l’ultima maniera, da pag. 261 a pag. 284, in particolare pag. 265 - 276 -  282, nota 57 – Napoli 1991
Middione R. – La Quadreria dei Gerolamini, pag. 35 – Napoli 1995

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