Piero Bottini, detenuto di 53 anni, si è tolto la vita tagliandosi la gola con una lametta all'interno della sua cella nel carcere di Rebibbia. In una nota il Garante dei Detenuti del Lazio ha scritto: “Quello di Piero è il quarto suicidio nelle carceri del Lazio nel 2013. Da gennaio ad oggi i decessi registrati negli istituti della regione sono stati 12: quattro suicidi, tre per malattia e quattro per cause ancora da accertare. In base alle statistiche, nove dei dodici decessi del 2013 si sono registrati a Rebibbia Nuovo Complesso. A quanto appreso dai collaboratori del Garante, Bottini era arrivato a Rebibbia N.C. a fine giugno, proveniente da un carcere toscano. Dopo aver passato gli ultimi nove anni in carcere, doveva ancora scontarne quattro. Dal momento del suo ingresso in carcere l’uomo, che era stato lasciato dalla moglie, era stato preso in carico dall’area educativa e segnalato a psicologa e psichiatra dal momento che manifestava segni di squilibrio e rifiutava la terapia che gli era stata assegnata”.
Il Garante ha poi proseguito: “Anche se occorrerà aspettare i risultati delle indagini avviate credo si possa dire che quello di Piero è un dramma della disperazione e della solitudine. Dalle informazioni raccolte, quest’uomo era stato detenuto/attore a Sollicciano, ma sembra avesse passato un periodo della sua detenzione anche negli ospedali psichiatrici giudiziari di Aversa e Montelupo Fiorentino. La fine della sua vita tormentata deve essere, poi, inquadrata nel contesto di un carcere come quello di Rebibbia Nuovo Complesso, il più grande del Lazio, con un sovraffollamento del 46%, senza un direttore a tempo pieno e dove si sono registrati ben nove decessi in soli sette mesi. Mi domando ancora una volta, anche per questo ennesimo dramma, se il carcere, per una persona così fragile e psicologicamente disagiata, fosse la soluzione migliore”.
Pare che il governo faccia affidamento su di essa, più che sul suo recente decreto, per sfollare i penitenziari.
Privi di assistenza psicologica, in preda alla disperazione, tra il silenzio dei mass-media, spesso a pochi mesi dal fine pena, sempre più detenuti ritengono che l’unico modo per liberarsi dalle sbarre consista nel fare scempio del proprio corpo, impiccandosi o tagliandosi la gola, come è avvenuto ieri l’altro nel reparto G8 di Rebibbia, un reparto modello, non certo l’inferno di Poggioreale o dell’Ucciardone.
Che Dio li perdoni e castighi severamente i responsabili di questa inarrestabile e penosa epidemia.
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