giovedì 6 settembre 2012

FACITE AMMUINA


19/02/2011

Facite Ammuina (che in napoletano significa fate confusione) sarebbe stato un comando contenuto nel Regolamento da impiegare a bordo dei legni e dei bastimenti della Real Marina del Regno delle Due Sicilie del 1841. Si tratta, in realtà, di un falso storico, il cui testo così recita:

(Napoletano) 
« All'ordine Facite Ammuina: tutti chilli che stanno a prora vann' a poppa
e chilli che stann' a poppa vann' a prora:
chilli che stann' a dritta vann' a sinistra
e chilli che stanno a sinistra vann' a dritta:
tutti chilli che stanno abbascio vann' ncoppa
e chilli che stanno ncoppa vann' bascio
passann' tutti p'o stesso pertuso:
chi nun tene nient' a ffà, s' aremeni a 'cca e a 'll à".
N.B. da usare in occasione di visite a bordo delle Alte Autorità del Regno. »

(Italiano) 
« All'ordine Facite Ammuina, tutti coloro che stanno a prua vadano a poppa
e quelli a poppa vadano a prua;
quelli a destra vadano a sinistra
e quelli a sinistra vadano a destra;
tutti quelli in sottocoperta salgano,
e quelli sul ponte scendano,
passando tutti per lo stesso boccaporto (buco);
chi non ha niente da fare, si dia da fare qua e là. »

Di questo falso passo del regolamento in questione esistono copie, vendute ai turisti nei mercatini di Napoli anche oggi, che riportano a firma quelle dell'Ammiraglio Giuseppe di Brocchitto e del "Maresciallo in capo dei legni e dei bastimenti della Real Marina" Mario Giuseppe Bigiarelli.
Il motivo dell'assenza di copie ufficiali è dovuto semplicemente al fatto che il regolamento della Real Marina del Regno delle Due Sicilie non ha mai annoverato un tale articolo e né di Brocchitto né Bigiarelli risultano menzionati tra gli ufficiali della marina delle Due Sicilie. Tali cognomi sembrerebbero del tutto inventati poiché il primo non risulta esistere in nessun archivio dell'intera Italia, mentre il secondo è del tutto estraneo all'onomastica delle Due Sicilie. Peraltro, il regolamento della Real Marina, come tutti gli atti ufficiali, era redatto in perfetto italiano, e perfino l'esame del testo in napoletano lascia dubbi di genuinità, soprattutto perché usa l'indicativo per degli ordini: per esempio, invece che «chilli che stanno abbascio vann' ncoppa e chilli che stanno ncoppa vann' abbascio», ci si aspetterebbe «... jessero ncoppa...». In particolare il presente congiuntivo nell'ultima frase, s'aremeni era certamente scomparso nell'uso popolare ottocentesco della lingua napoletana e sostituito dalla forma ottativa s'ar(r)emenasse.
Si tratta quindi di uno dei tanti aneddoti denigratori sulle forze armate borboniche (nel loro insieme spregiativamente definite esercito di Franceschiello) confezionati a fine propagandistico dai piemontesi per screditare il Regno delle Due Sicilie e la dinastia dei Borbone. Altre invenzioni simili, riguardanti questa volta l'esercito, sono il facite 'a faccia feroce e il facite 'a faccia fessa che sarebbero stati gli ordini impartiti alle reclute durante l'addestramento.
Tra l'altro, la Real Marina del Regno delle Due Sicilie era particolarmente efficiente, tanto che nell'Italia appena unificata, che si trovò imposte tutte le istituzioni e la legislazione piemontese, la Marina adottò proprio divise, gradi e regolamenti di quella napoletana.

Sebbene il facite ammuina non nasca affatto da un regolamento della marina borbonica, esso trae origine da un fatto storico realmente accaduto (anche se dopo la nascita della Regia Marina italiana). Un ufficiale napoletano, Federico Cafiero (1807 - 1889), passato dalla parte dei piemontesi già durante l'invasione del Regno delle Due Sicilie, venne sorpreso a dormire a bordo della sua nave insieme al suo equipaggio e messo agli arresti da un ammiraglio piemontese, in quanto responsabile dell'indisciplina a bordo. Una volta scontata la pena, l'indisciplinato ufficiale venne rimesso al comando della sua nave dove pensò bene di istruire il proprio equipaggio a "fare ammuina" (ovvero il maggior rumore e confusione possibile) nel caso in cui si fosse ripresentato un ufficiale superiore, con lo scopo di essere avvertito e nello stesso tempo a dimostrare l'operosità dell'equipaggio.


Un suono napoletanissimo è quello fragoroso della pernacchia che i puristi definiscono un suono derisorio, ironico e in genere considerato volgare, eseguito soffiando con la lingua protrusa all’infuori in mezzo alle labbra serrate, oppure premendo con il dorso della mano sulla bocca per ottenere un rumore simile a quello di una flatulenza (alias scorreggia).
Lo spernacchiamento può essere eseguito mediante due tecniche di disposizione labiale a scelta. Si può poggiare la lingua sul palmo della mano e soffiare facendo vibrare il labbro inferiore. In questo caso si ottiene un suono aperto, cosiddetto a “squacchio”, oppure raccogliere la mano a cono e far vibrare contemporaneamente entrambe le labbra. In questo caso si ottiene un suono più acuto che può essere modulato dall’esecutore mediante la crescita progressiva del volume d’aria emesso; questa tecnica consente anche di variare la nota di escussione della pernacchia maggiore sia verso gli acuti che verso i gravi.
Quando la pernacchia non viene eseguita da uno specialista (sono tutti napoletani) e senza il dovuto trasporto si trasforma in una fetecchia che può essere definita il tentativo fallace di emettere un peto vibrato e roboante, che invece poi riesce afflosciato e calante, una scorreggia non riuscita, quindi, potremmo concludere un mezzo aborto di pereta, che, se consultiamo il dizionario scopriamo trattarsi di un sinonimo di peto, fetumma, loffa o siluro e qui ci fermiamo perché dai suoni siamo agli odori, anzi ai fuochi di artificio.
Questo suono così esplicativo pare nasca durante il dominio spagnolo e si manifestasse spontaneo all’arrivo degli esattori delle tasse, che i popolani salutavano con particolare affetto.
La pernacchia più celebre nella storia del cinema è quella di Eduardo De Filippo, contro un nobile arrogante. Era un suono altamente modulato e studiato, in concorso con la plebe del rione. Oltre all’irrisione, cioè, esprimeva una protesta sociale. Con un suo stile classista, dal basso, nazionale più ancora che napoletano.
Di recente anche Bossi, l’immarcescibile ministro padano, si è voluto esibire con il nobile suono della Terronia, ma il suo gesto è stato un fiasco sotto il profilo acustico, al punto che avrebbe meritato un riscontro di eguale entità da parte di un napoletano doc, ma gli è stato risparmiato tenuto conto della sua incapacità di intendere e di volere.

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