martedì 16 aprile 2013

Michele Ragolia, un palermitano napoletanizzato

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Di Michele Ragolia anche i napoletanisti più ferrati conoscono poche opere e nell’affollato panorama artistico napoletano è considerato poco più che un Carneade.
Tra le sue opere più note, oltre al soffitto cassettonato del Santuario di Sant’Antonio a Polla ed alle due grandi tele di altissima qualità, raffiguranti il “Trionfo di David”, siglata e datata 1673 (fig. 1),  ed il “Trionfo di Giuditta” conservate nella raccolta Harrach di Schloss a Vienna, i più conoscono: un “Interno da collezionista”, di proprietà Pisani (fig. 2), che fu esposto anche alla mostra “Civiltà del Seicento” a Napoli, le tele della Chiesa di San Diego all’Ospedaletto (figg. 3-4), francamente brutte, un quadro nella raccolta del Pio Monte della Misericordia, attribuitagli da Raffaello Causa, ma che non gli appartiene, alcune pale d’altare nelle chiese di Agerola, dove fu attivo più volte ed una “Madonna con le Anime Purganti”, già nella Chiesa della Sapienza ed oggi presso il Museo Diocesano.
Palermitano di nascita, come si evince dal “Panormitanus”, con cui firma alcune tele, egli è attivo soprattutto nella seconda  metà del secolo XVII, sopravvivendo alla peste del 1656, che spazzò via un’intera generazione di pittori.
La sua prima formazione è tradizionalmente collocata nella bottega di Belisario Corenzio, ma ben presto si distaccò dalla cultura tardo manierista e venne influenzato dal classicismo e dal naturalismo caravaggesco di Massimo Stanzione, oltre a palpabili influssi di Francesco Guarino, di Pacecco De Rosa, evidentissimi in alcune figure, e di Cesare Fracanzano.  In alcuni dettagli sembra di vedere all’opera il magico pennello di Artemisia.
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La recente scoperta di dipinti siglati e datati ha permesso la ricostruzione della sua produzione e per alcune segnalazioni sono grato a Fra’ Domenico Marcigliano, un alacre studioso che soggiorna nel Convento di Sant’Antonio a Polla ed ogni giorno può contemplare lo splendido soffitto cassettonato, del quale ha interpretato con rara precisione il messaggio teologico che sottende ai quaranta quadri, che compongono un discorso articolato del quale parleremo più avanti diffusamente.
La sua prima opera documentata è la tavola di “Tutti i Santi”, datata 1652, sita nella chiesa parrocchiale di Bomerano di Agerola. Abbiamo notizia di un’opera commissionata dai Cappuccini di Terranova in Calabria, attualmente dispersa, mentre per la stessa committenza esegue un polittico su tela, datato 1664 a Bovino in provincia di Foggia. Egli esegue quei quattro scomparti raffiguranti “San Michele Arcangelo, l’Angelo Custode, Santa Chiara e San Ludovico di Tolosa”.
Sempre nel 1664 esegue la “Sacra Famiglia con i SS. Anna e Gioacchino” e l’”Eterno Padre” per la Cappella di Sant’Anna a Pianillo di Agerola. Due tele di identico soggetto si trovano anche nella Chiesa di Sant’Anna in San Lorenzo a Salerno e nella Parrocchiale di Castelgrande in provincia di Potenza.
Nel 1665 firma e data una ”Elevazione della Croce” per la Congrega del Crocifisso annessa alla Chiesa dei Sette Dolori a Napoli.
Probabilmente allo stesso periodo appartengono le tele in San Diego all’Ospedaletto.
Del 1666 è il ciclo, firmato e datato, formato da quaranta tele inserite nel soffitto cassettonato  del Santuario francescano di Sant’Antonio a Polla, raffiguranti “Scene dell’Antico e del Nuovo Testamento con Santi”, che costituiscono una delle sue realizzazioni più notevoli per la vastità dell’opera (figg. 5-6-7).

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Per una corretta lettura mariano-cristologica della narrazione ci fa da guida la magistrale interpretazione di Fra’ Domenico Marcigliano, che parte dall’immagine centrale dell’”Immacolata”, rappresentata anche nei quadri cruciformi della “Nascita e dell’Assunzione”. Compare anche “Giuditta che uccide Oloferne”, che simboleggia una vittoria di Dio sulle forze del male. Vi sono poi le immagini riferite a Cristo nella “Circoncisione” e nel “Gesù fra i Dottori”.
Un’attenzione particolare è poi attribuita agli Angeli, messaggeri della volontà celeste ed intermediari tra Potenza Divina ed umana debolezza.
Abbiamo notizia di una tela, oggi ad ubicazione sconosciuta, siglata e datata 1667, raffigurante la “Sacra Famiglia”, mentre al periodo giovanile appartiene un “Trionfo di Davide” conservato nell’Istituto Pontano di Napoli.
Abbiamo già accennato ai due capolavori del Museo di Vienna, realizzati nel 1673, quando firma e data anche un “Miracolo di San Nicola” conservato  a Massalubrense.
Un “Cristo e San Francesco” (fig. 8), siglato MR e datato 1675, è al Museo di Capodimonte in sottoconsegna alla chiesa di Santa Maria della Stella di Napoli.
Nel 1677 dipinge un ciclo di ventuno tele con “Storie di Santa Lucia” per la Chiesa eponima di Cava de’ Tirreni. 
Tra il 1677 e il 1678 affresca la volta e le pareti della Sala del Capitolo del convento di San Domenico Maggiore, con l’immensa scena del “Calvario” (fig. 9) sulla parete di fondo, i riquadri della volta con “Scene della Passione di Cristo” (fig. 10-11), le scene più piccole con i “Misteri della Passione” (fig. 12) e i tondi con “Angioletti recanti i Simboli del martirio di Cristo”. 
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Nel 1678 affresca “Scene della Passione di Cristo” nella volta della Cappella del Crocifisso del monastero di Regina Coeli, mentre nel refettorio affresca nella volta “Storie di Mosè”, le dieci lunette con “Profeti e Sibille” oltre ad una tela con “Mosè alla corte del Faraone”, oggi presso il Seminario Maggiore di Capodimonte, assieme a cinque tele con “Storie dell’Antico Testamento”, già nella Chiesa di Gesù e Maria.
Nel 1680 esegue affreschi nell’abside e nel Cappellone del Crocifisso di San Domenico Maggiore, alcuni dei quali purtroppo perduti, mentre sono ancora visibili un’”Incoronazione della Vergine” (fig. 13), un “Agar nel deserto” (fig. 14) ed “Allegoria del Divino Aiuto”.
Un’”Estasi di Sant’Antonio” ed una  “Madonna con le Anime Purganti” (fig. 15) sono del 1681 per la chiesa napoletana di Santa Maria della Sapienza.
Nel 1682 esegue ad Agerola una “Madonna del Rosario”, accesa di colori luminosi (fig. 16) e nel 1683 firma e data le “Storie di San Francesco di Paola” nel soffitto di Santa Maria dell’Olmo a Cava de’ Tirreni.
Concludiamo segnalando nel Gesù delle Monache due tele raffiguranti “San Francesco” (fig. 17) e degli affreschi del 1686 nella volta della Certosa di Padula con “Episodi e Personaggi del Vecchio Testamento” (fig. 18): sono le sue ultime opere, perché morirà il 21 maggio del 1686. 

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Bibliografia
Achille della Ragione – Il secolo d’oro della pittura napoletana, Napoli 1998-2001 (vol. 2, pag. 106; vol. 7, pag. 453; vol. 8-9-10, pag. 515)
Fra’ Domenico Marcigliano – Storia e simbolismo nel Santuario convento di Sant’Antonio, Polla 2006 
Achille della Ragione – Michele Ragolia, un minore di lusso (Articolo sul quotidiano telematico Napoli.com del 25/1/2008)
Achille della Ragione – Nuovi saggi sui pittori napoletani del Seicento, Napoli 2011 (pag. 64, fig. 75)
Achille della Ragione – La pittura napoletana del Seicento. Repertorio fotografico, II tomo, Napoli 2011 (pag. 91)

domenica 14 aprile 2013

Dal Carcere di Rebibbia Achille della Ragione scrive: una raccolta di favole per bambini




di Savino De Rosa

Immaginarsi rinchiusi, lontano dall’affetto dei cari e da quello dei piccoli che non capiscono il perché di una lontananza ed un’ assenza così lunga e soffrono e chiedono, e voler inviare ad essi un dono anche se intangibile, ma pieno di valori e di immagini. Così nasce l’idea di Achille di trasformare le esperienze, le relazioni, le sofferenze di una vita di costrizione in favole, leggendo le quali tutti noi, ma in particolare i piccoli possano fantasticare e pensare il loro caro come un valoroso condottiero impegnato a combattere feroci pirati, per liberare tutti i suoi compagni dalla disumana costrizione.
Quando, durante le festività Natalizie, lessi tutte d’un fiato e per la prima volta le favole per bambini scritte dal carcere di Rebibbia da Achille, cercai di trovare in esse il messaggio che egli voleva inviare a tutti noi, che viviamo nella condizione di agire secondo il nostro libero arbitrio, non prigionieri costretti, come lui dice, dai pirati. Le ho rilette tante volte per percepire in ognuna di esse tristezza, malinconia, ma forza interiore, amore e rispetto degli altri, voglia di riscatto che accomuna e da coraggio. Le immagini che tanto colpiscono i bambini, Rebibbia appare come un castello con torri merlate, a sinistra un cielo terso con un sole splendente e sulla destra la notte, tranquilla con una falce di luna e dal comignolo coriandoli colorati, così come le lingue di fumo. Ci sono le grate ma si perdono nella policromia dell’insieme, e la nave dei pirati, disegnata con i pastelli dal nipotino Leonardo e tutte le altre immagini, foto ci danno una rappresentazione di vita vissuta in amicizia e gioia nella comunità.
Questo è il dono di Achille per Natale, ha raggiunto e commosso noi adulti, ha raggiunto ed entusiasmato i piccoli che hanno capito il perché della sua assenza e lo hanno eletto a loro prode condottiero. Ma a noi adulti ha voluto trasmettere anche la sua visione cristiana del mondo, non creato solo per uomini, ma anche per la natura, che sia essa una fonte, un albero, un animale. L’amore, il rispetto e la dedizione per i suoi compagni, che molte volte qui fuori, viene trascurato e a volte mercificato, è un valore formidabile che completa il suo messaggio. Ogni favola è una dedica ai suoi compagni e che li ha fatti diventare compagni di tutti noi che abbiamo letto. L’amore per la natura, per gli animali, il volo libero dei gabbiani, il rapporto con la gattina Chicca e con gatta Lucia, la rianimazione bocca a bocca del cagnolino, Il curioso topolino Michele, che seppur protetto dai gatti all’interno, preferisce ripercorrere all’inverso il piccolo foro da cui era entrato, dopo aver visto le cucine ed il cibo preparato, sono messaggi che toccano i cuori dei bambini, ma non solo. E’ stato bravo come sempre, Achille, ma questa volta ha voluto darci qualcosa che a volte, noi, non sappiamo cogliere: la forza delle cose semplici, l’integrazione tra diversi, il presepe che unisce gli affetti, la competizione che premia il vincitore e fa sognare la libertà e tanto altro.
Siamo in periodo Pasquale, festa di resurrezione ed il nuovo Papa ha messo nella sua missione l’aiuto dei poveri, dei deboli, degli indifesi, dei costretti e allora se tutto questo è un valore e se le sue favole sono un valore, non può pensare e sperare che ad un solo finale, quello che lo vede tornare vittorioso ai suoi cari ed ai suoi piccoli. Gli altri finali porterebbero solo dolore, dispiacere, ricordo che si affievolisce e lascerebbe molto poco di sé.
Brinderemo un giorno di grande festa e che sia prossimo, ma fino ad allora dai sempre agli altri tutto quello che hai dentro ed è tanto. Forza amico mio!


NB: il testo del libro: ''Dal Carcere di Rebibbia: una raccolta di favole per bambini'' è disponibile in formato PDF a questo link.

martedì 9 aprile 2013

Alla ricerca scientifica dell'anima



di Tiziana della Ragione

"Nulla si crea e nulla si distrugge, " è uno dei paradigmi della scienza ed anche il nostro corpo dopo la morte, disintegrandosi, ritorna alla terra e ad essa restituisce le sostanze della sua materialità, ma i nostri pensieri, i nostri dolori, le speranze, la felicità, gli smarrimenti, le malinconie, i ricordi, i desideri, gli affetti, non vogliamo dire la nostra anima, dove finiscono?
Se nulla si distrugge, se la nostra misera carcassa continua ad esistere trasformandosi, perché' ciò che a noi appare immateriale dovrebbe scomparire?
Una moderna radio a transitor è in grado di captare un monologo recitato a New York o il ritmo frenetico di una danza da Rio de Janeiro. Se il cervello dell'uomo è la cosa più prodigiosa dell'universo perché' non possiamo credere che possa afferrare i nostri sentimenti che vagano nello spazio dopo la morte?
Un neonato potrebbe raccogliere il messaggio di uno sconosciuto che gli lascia in eredità le sue inquietudini, le sue gioie, i suoi dolori. Se milioni di uomini di antiche e sagge civiltà' credono a questa possibilità, anche noi possiamo crederlo, sperarlo, temerlo.
Sono pensieri che ci danno l'idea della nostra miseria e della nostra nobiltà. Sperduti nell'infinita immensità degli spazi, destinati a vivere un lampo a confronto dell'eternità, non riusciamo a credere che la nostra coscienza si sia accesa per caso a contemplare un universo ostile o, quanto meno, indifferente al nostro destino.
Il nostro corpo è stato da sempre considerato il contenitore di un'anima immortale ed immateriale e ciò ha comportato il fiorire di mitologie e religioni che tendono a dare una risposta confortante alla nostra paura della morte.
Oggi, in un mondo che rifiuta sempre più spiegazioni magiche e prelogiche, il primo a vacillare è il libero arbitrio: infatti, se è il nostro cervello a decidere sotto l'influsso di ormoni e mediatori chimici, l "Io", inteso come una sostanza immateriale, viene messo in crisi, giorno dopo giorno, dai progressi della neuroscienza.
Una teoria della coscienza che possa dare delle risposte in termini scientifici è il primo passo per identificare una formula che definisca l'anima.
Nel corso dei secoli si è cercato di definire in maniera convincente l'anima, ma nessuna teoria ci ha pienamente soddisfatto.
Fenomeni fisici come, vedere un film, ascoltare una canzone o leggere un libro si trasformano sorprendentemente, in esperienze soggettive: il ricordo di un amore tramontato, una vacanza esaltante o una malinconica reminiscenza. 
Nel seicento Cartesio, convinto sostenitore del dualismo (separazione tra il corpo e la mente) identificava nella ghiandola pineale (l'ipofisi) il tramite che metteva in contatto i due mondi. In quel fagiolo posto al centro della testa avveniva la magica trasformazione di un cornetto che ci rammentava l'allattamento al seno materno. La coscienza andava spiegata nell'ambito della fisiologia del cervello, un rudimentale interruttore dell'anima. 
Oggigiorno quando parliamo di coscienza, dobbiamo riferirci anche e soprattutto al concetto d'informazione. La somiglianza con un computer può apparire sorprendente, anche se la sintassi binaria dell'informatica – una lampadina è spenta o è accesa, è ben diversa dalla capacità di discernimento del cervello umano, in grado di apprezzare diversi trilioni di altri stati e di combinarli in modo da avere un valore informativo infinitamente maggiore. Se osserviamo una palla rossa, cogliamo assieme la forma e il colore; allo stesso modo, quando ascoltiamo una frase, il tono e il timbro della voce ci aiutano a percepirne il significato. Kant definiva questa caratteristica "appercezione trascendentale".
I computer funzionano diversamente: ogni singolo pixel (unità d'informazione) non ha coscienza degli altri; è alla luce di questi due assiomi che si può tentare di impostare un'equazione in grado di calcolare il tasso di coscienza di un organismo espresso come una lettera greca, seguita da un numero, che quantifichi l'abilità di discriminazione e il livello d'integrazione delle informazioni. Cartesio era rimasto ancorato alla distinzione tra Res Cogitans e Res Extensa.
Hume, come tanti Neuroscienziati contemporanei, intendeva la coscienza come la semplice somma di tante coscienze generate dall'esperienza.
Kant era andato avanti nel ragionamento ma senza pensare a una formula matematica. Oggi la scommessa vincente è quella di tenere conto che la coscienza è qualcosa di più della semplice somma delle sue parti e può essere quantificata solo attraverso un'equazione. Da qui impostare la formula dell'anima è il passo successivo, difficile, ambizioso, ma prima o poi realizzabile.

domenica 7 aprile 2013

Un grande progetto per rilanciare la Campania

porto di Napoli e Maschio Angioino

L’ultima speranza per Napoli e la Campania di invertire il senso di marcia che ci sta conducendo verso il baratro e proiettarsi verso il futuro è legata ai 19 progetti finanziati con 5 miliardi, il cui scopo è far decollare ambiente, infrastrutture, turismo e banda larga per internet.
Le risorse, in passato diluite in mille rivoli, saranno concentrate unicamente su grandi assi strategici.
Come giustamente è stato definito dal governatore Stefano Caldoro, si tratta di un “Piano Marshall” per la nostra regione.
Le opere più qualificanti sono il completamento della linea 6, che unirà in pochi minuti la Mostra d’Oltremare con Piazza Municipio; la realizzazione della tratta del metrò, che collegherà Piscinola e Secondigliano con Capodichino, creando un anello ferroviario completo con la linea 2, che quanto prima raggiungerà Piazza Garibaldi e, con altre fermate, il Centro Direzionale, il Tribunale, Poggioreale e l’Aeroporto di Capodichino; la riqualificazione ed il disinquinamento del fiume Sarno, cui è collegato il risanamento ambientale dei laghi dei Campi Flegrei e dei Regi Lagni, con l’obiettivo di far ottenere la bandiera blu al litorale domizio, ed infine la costruzione del Polo Fieristico Regionale con strutture congressuali a livello internazionale, che avrà come fiore all’occhiello la Mostra d’Oltremare, dove dovrebbe svolgersi il famigerato Forum delle Culture, del quale, fino ad ora, molto si è parlato, ma non se ne è ancora stabilita la data.
In ambito portuale, lo scalo marittimo napoletano, attraverso nuove infrastrutture al servizio delle imprese e con fondali adeguati all’attracco delle supernavi da crociera e mercantili, incrementerà il traffico merci e passeggeri, mentre il porto di Salerno punterà sull’approdo delle meganavi da crociera e sul movimento dei containers che trasportano principalmente automobili.
Con internet superveloce, grazie alla diffusione della banda larga in tutti i comuni della regione, si colmerà il gap digitale che permetterà ai cittadini un più semplice accesso ai servizi ed alle imprese di svilupparsi in maniera moderna.
Per la zona di Bagnoli è previsto un grande parco urbano che preservi il ricordo dell’acciaio attraverso la conservazione di esempi di archeologia industriale.
Ma il progetto più affascinante è quello che si propone di far tornare a pulsare vigorosamente il cuore antico di Napoli: dalle porte della città storica ai decumani, il centro diventerà un museo a cielo aperto che attirerà turisti e migliorerà la vivibilità dei residenti, in linea con le direttive dell’Unesco, che da tempo ha posto sotto la sua tutela il centro antico più vissuto e frequentato del mondo.
Utopia o realtà?
Molto dipenderà dall’impegno di tutti i cittadini che saranno arbitri del proprio destino: una gloriosa rinascita o una decadenza inarrestabile.
mappa linea 1 metropolitana di Napoli

Napoli, via Tribunali
fiume Sarno che attraversa Scafati
litorale domizio
Mostra d'Oltremare
porto di Napoli
porto di Salerno
Bagnoli, area ex Italsider

Napoli, piazza del Gesù



Cervelli da Nobel




Tra i napoletani da ricordare, a fronte dei 100 anni del professor Alessandro Cutolo, Marina Faiella, con i suoi 28 anni, è certamente la più giovane con un grande futuro davanti.
Napoletana verace, con il cognome in comune con il celebre Peppino Di Capri, nata in una famiglia di chimici, sin da bambina amava curiosare tra gli strumenti di laboratorio: il suo destino era segnato.
Ha avuto la fortuna di essere allieva, a Napoli, del Professor Pavone, uno scienziato che si sveglia alle 4 del mattino per studiare e lavorare. Un anno e mezzo fa, si è decisa a spiccare il volo per l’estero, dapprima verso l’Olanda alla facoltà di tecnologia di Delft, quindi come ricercatrice presso l’Arizona State University.
La materia cui si dedica Marina è la possibilità di ottenere energia pulita dai batteri in quantità illimitata e per le sue ricerche quest’anno, la prima volta per un’italiana, è stata premiata con il “For Women in Science” assegnato dall’Unesco, un riconoscimento che spesso prelude al Nobel, come è capitato alla statunitense Blackburn ed all’israeliana Yonath, vincitrici nel 2009 per la medicina e la chimica.
L’idea alla base degli studi di Marina potrebbe cambiare il mondo.
La sua ricerca mira a realizzare carburanti ed energia elettrica senza emissioni di anidride carbonica, replicando in laboratorio la capacità di alcuni batteri di produrre idrogeno dall’acqua, attraverso alcune proteine, chiamate “idrogenasi”.
Attualmente, noi otteniamo idrogeno dal metano sprecando energia, a differenza di alcuni batteri che, per attivare il loro metabolismo, producono l’idrogeno come prodotto di scarto.
Pochi etti di uno di queste minuscole forme di vita potrebbero far camminare un razzo per un paio d’ore.
Bisogna studiare la complessa struttura di queste straordinarie molecole, carpirne il segreto e riprodurlo da sostanze semplici.
Se il progetto di Marina avrà successo, potremo ottenere energia dall’acqua e dal sole e finalmente quell’economia dell’idrogeno, finora rimasta una chimera, potrà decollare con imprevedibili benefici per l’umanità.
Grazie alla vicinanza del fidanzato, anche lui ricercatore, che la segue nei suoi spostamenti (che non saranno pochi), Marina sopporta la nostalgia della sua casa di Napoli, da dove vedeva il Vesuvio ed il mare mentre ora deve accontentarsi della piscina del condominio e di un cielo sempre nuvoloso.
Fino a quando non riuscirà a dirigere un gruppo tutto suo, all’incirca intorno ai 40 anni, sarà costretta a cambiare continente ogni 2-3 anni.
Per il resto è una ragazza come le altre: gioca a tennis e canta come soprano nel coro dell’Università.
Brava Marina ed appuntamento per il Nobel.
Marina Faiella




Marina Faiella
Consegna premio For Women in scienze a Parigi a Marina Faiella

Marina Faiella


sabato 6 aprile 2013

Metodiche farmacologiche per provocare l’I.V.G.



varie volte ho accennato ad una mia sperimentazione di una metodica farmacologica per indurre l’aborto, che attuai quando fui riammesso in servizio nei primi anni Novanta.
Anche in questo caso penso possa essere utile riferirsi ad uno scritto e precisamente ad uno stralcio da una mia relazione presentata nella tavola rotonda “L’embrione tra etica e biologia” tenutasi il 17 gennaio 2001 all’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici e consultabile nella sua integrità su internet digitandone il titolo.
Metodiche farmacologiche per provocare l’I.V.G.
…La storia che voglio ora brevemente raccontarvi è una classica storia all’italiana. Essa è ambientata agli inizi degli anni Novanta in un piccolo ospedale di provincia, a Cava de’ Tirreni a pochi chilometri da Salerno, dove mi trovavo a lavorare in condizioni ambientali ostili per portare avanti la battaglia per l’attuazione della legge 194, in una struttura con un primario obiettore, un direttore sanitario piratesco, un presidente di U.S.L. cattolico praticante, impenitente baciapile e tutto il personale parasanitario che si rifiutava di collaborare; oltre alle assistenti sociali del consultorio che sottoponevano le donne a defatiganti indagini inquisitorie.
La divisione di ginecologia dell’ospedale di Cava de’ Tirreni fu la prima in Italia, dal 1987, ad adoperare il Cervidil, una prostaglandina somministrabile per via vaginale, allo scopo di facilitare la dilatazione dell’utero. Le prostaglandine sono state per anni adoperate per indurre l’aborto; è stata sperimentata la somministrazione per via intramuscolare, endovenosa, extra amniotica, intra amniotica, ma gli effetti collaterali per via sistemica erano molto severi, per cui la metodica era stata quasi abbandonata, fino a quando, attraverso la via endovaginale, si è riusciti ad ottenere un’ottima efficacia associata ad una notevole riduzione degli effetti collaterali.
Saltuariamente il Cervidil era da noi adoperato nelle nullipare all’11°-12° settimana di gestazione per rammollire e favorire la dilatazione del canale cervicale, prima di procedere allo svuotamento uterino. La candeletta veniva introdotta profondamente in vagina circa tre ore prima dell’intervento e talune volte capitava che, per impegni urgenti di reparto, l’esecuzione dell’I.V.G. venisse rinviata di alcune ore e spesso, quando si rivisitava la donna, ci si accorgeva che l’aborto si era espletato in maniera completa, come confermava l’indagine ecografia. Da queste casuali osservazioni è balenata l’idea di poter ottenere l’I.V.G. senza dover ricorrere a tecniche chirurgiche.
Abbiamo consultato la letteratura scientifica sull’argomento ed abbiamo constatato che il Cervidil era stato adoperato all’estero da solo per indurre l’aborto, con percentuali di successo decisamente interessanti e con degli effetti collaterali modesti.
Abbiamo intuitivamente pensato di associare alle prostaglandine un diverso contratturante uterino, l’ormone ossitocico (Syntocinon), usato da decenni nel post partum, scoprendo che le due sostanze, a differenza di quello che si credeva prima, possedevano una sinergia notevole, migliorando considerevolmente la percentuale di successo che nella nostra sperimentazione fu del 96%, un  risultato più lusinghiero della stessa pillola francese.
Appena cominciammo la sperimentazione ottenemmo un notevole gradimento soprattutto da parte di quelle pazienti che avevano avuto  precedenti esperienze con le tecniche tradizionali.
Pubblicammo i risultati delle nostre sperimentazioni su riviste scientifiche (Contraccezione, fertilità, sessualità, vol. 18, n. 4, luglio 1991; idem, vol. 19, n. 3, maggio 1992) e ne demmo notizia  nel corso di convegni internazionali. (Vedi atti dell’International Congress of Obstetrix and Gynecology, Isola d’Elba, giugno 1992).
I consultori dei comuni limitrofi cominciarono ad inviarci pazienti in numero sempre maggiore, ma l’atmosfera di ostilità intorno al nostro lavoro cresceva giorno dopo giorno, fino a quando della nuova metodica diedero notizia, prima un quotidiano (Il Golfo, 5 febbraio 1992) e poi alcune televisioni locali.
La reazione da parte delle istituzioni non si fece attendere: un’interrogazione parlamentare da parte dell’onorevole Parlato al ministro della Sanità ed a quello di Grazia e Giustizia e prontamente una giovane magistrata della Procura di Salerno, per intimidirci, fa sequestrare dai carabinieri le cartelle cliniche, con la scusa di dover approfondire la questione, approfondimento che dopo circa otto anni deve ancora concludersi!!!
L’ospedale non acquista più le candelette di Cervidil e continuiamo ancora per qualche mese soltanto grazie alla casa farmaceutica che ci fornisce gratuitamente il prodotto. Infine, con il mio improvviso licenziamento, la sperimentazione si ferma ed un velo di silenzio cala su tutta la vicenda, senza che alcun organo di informazione si interessi più di questa metodica farmacologia, che avrebbe permesso alle donne di risolvere in prima persona il dramma dell’aborto.
Anche il gravoso problema dell’obiezione di coscienza tra il personale medico e parasanitario, che assilla e paralizza tanti ospedali, sarebbe stato alleviato da tale metodica, perché è ipotizzabile che le donne possano da sole introdursi in vagina le candelette di prostaglandina e finalmente dell’aborto non dovrebbero più interessarsi legislatori e preti, medici ed assistenti sociali, facendo sì che questa scelta, difficile e quasi sempre dolorosa, riguardi unicamente la donna e la sua coscienza. E con l’auspicio, in attesa della pillola francese, che questa semplice metodica di induzione farmacologia possa essere proposta a tutte le donne che desiderano sottoporsi all’I.V.G, concludo la mia relazione, ringraziando vivamente l’Istituto italiano per gli Studi filosofici che ci ha permesso di poter discutere oggi, pubblicamente, su di un argomento di così scottante attualità, che rappresenta per me oggetto di studio e riflessione da quasi trenta  anni e principalmente i gentili partecipanti che hanno avuto la pazienza di ascoltare fino al termine la mia relazione.

mercoledì 3 aprile 2013

Rendiamo vivibili i penitenziari



La permanenza in carcere peggiora tutte le patologie, anche nei più giovani, immaginiamo gli effetti devastanti che possono avere in pazienti, spesso anziani, affetti da cardiopatie gravi, crisi ipertensive, Aids in fase terminale, diabete scompensato e tante altre affezioni che conducono in breve tempo al decesso.
Un discorso a parte meritano i numerosi tossicodipendenti, che dovrebbero essere, prima che puniti, curati in apposite strutture. Potrei dilungarmi ricordando l’epidemia di suicidi, che andrebbe contrastata con un’inesistente assistenza psicologica, ma vorrei trattare dei non meno importanti mali dell’anima: la solitudine, la malinconia, la sofferenza, la nostalgia.
Conosco un rimedio infallibile per combatterli: rimanere in contatto costante con i propri familiari, anche solo per telefono. 
In tutta Europa i detenuti (a loro spese) sono liberi di fare quante telefonate desiderano.
Perché dobbiamo essere costantemente il fanalino di coda della civiltà?