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venerdì 1 novembre 2013

ANNA DI FUSCO UN’ARTISTA TRA MODERNITÀ E LAICA SPIRITUALITÀ


di Pietro di Loreto



Anna Di Fusco
fig.1-percezioni di Anna Di Fusco

Estro e anticonformismo ma anche intuizioni e percezioni profonde in un’operazione concettuale che si pone come una sfida allo sguardo del pubblico
Anna Di Fusco è un’artista che pur con poche esposizioni alle spalle, tuttavia presenta una capacità elaborativa stupefacente: un’esordiente le cui prove pittoriche veramente stupiscono, perché appare già in possesso di una capacità comunicativa e di un bagaglio espressivo consolidato, tipico cioè di chi –come lei- da tempo si cimenta nella pittura e quindi non certo per un gioco o per caso si sottopone oggi al giudizio dei critici e degli addetti ai lavori, oltre che degli amanti delle belle arti.
I suoi lavori iniziali e poi le sollecitazioni scaturite dall’ambiente intellettuale che ha frequentato e che frequenta ne hanno plasmato la personalità, che ci appare oggi già piuttosto solida, estrosa ed anticonformista. Lo dimostrano bene molte delle sue opere (figg.2,3,4) che, nel corso del tempo, hanno delineato un percorso mentale non certo stravagante e neppure insolito e tuttavia assolutamente personale, frutto di un fare pittorico e di una tecnica i cui esiti incrociano molte delle esperienze e delle personalità artistiche affermatesi dopo la metà dello scorso secolo.

fig.2-materico argento

fig.3-sempre più in alto

fig.4-la via dorata


Certamente può appare ingenuo e fuori luogo proporre paragoni (che peraltro risulterebbero oggi forse troppo impegnativi per un’autodidatta), con altri movimenti artistici ed altre esperienze formative; tuttavia è anche vero che spetta al lavoro del critico individuare le radici e i retroterra più consoni per definire una poetica che ambisce a trovare un suo spazio e a proporsi in modo originale nel mondo della contemporaneità, partendo com’è ovvio dalla contaminazione e dall’assemblaggio di formule artistiche differenti che tuttavia non contrastano né certamente nascondono il momento finale della personale meditazione.
Ed in questo senso è facile pensare a vari ascendenti, alla minimal art, o alla pop art, o all’arte povera; ma, nel nostro caso, quella di Anna Di Fusco è come un’operazione concettuale : quei frammenti di vetri sparsi su molte tele (fig.5,6), quasi che l’artista desiderasse ricomporre e dar luce ad un cammino interiore -e che in qualche caso ci pare perfino poter indicare come una sorta di trascendenza- sembrano richiamare in modo più appropriato alla mente la forza creativa del ‘gesto’.

fig.5-l'ascensione

fig.6-mare d'inverno


Ma se di ‘azione gestuale’ si deve parlare il riferimento è più alla tensione emotiva di un Rotko che non al dripping di Pollock, come in effetti appare in una delle prime prove, dove il colore rosso intenso dello sfondo è come investito da larghe spatolate trasversali bianche (fig.7) . Opera appassionata, perfino rabbiosa: non si può fare a meno di notare un fervore, una sorta di urgenza che percorrerà poi buona parte dei lavori successivi, nati come da un incastro tra espressionismo ed astrazione, dove quasi si esalta la fisicità delle aree nelle tele attraversate da rettangoli o meglio ‘crateri’ bianchi rossi neri, ed in altre formate da stesure di acrilico crude e intense (figg.8,9,10).
I colori sono applicati con una forte saturazione, privi quasi di sfumature e toni mediani e tuttavia tali da poter realizzare un calibrato equilibrio cromatico, così da evidenziarne al meglio il valore espressivo, determinante per far risaltare il significato.

fig.7-contrasto

fig.8-crateri rossi

fig.9

fig.10

Ma mai , si deve dire, sull’utilizzazione di tali richiami compare un compiacimento cedevole, un’evocazione surreale dei valori del subconscio. L’arte di Anna Di Fusco ci pare piuttosto agire a livello di natura e nella natura, laddove sembra trovare le forme esemplari per il suo fine didascalico. La sua opera diviene così espressione di un atteggiamento assertivo, che è sintesi di ambiente, materiali e intenzioni dove si può cogliere –perché traspare senza alcuna mediazione- un forte spirito di modernità ma anche di laica spiritualità, se si può dire, in un certo senso obbligata in un’artista le cui trascorse esperienze di lavoro e di viaggi hanno certo generato un’apertura mentale internazionale, tanto verso le letterature che verso le arti internazionali e, per sua stessa ammissione, tutt’altro che chiusa nel suo piccolo mondo di immagini o nella rievocazione dei grandi del passato, ed anzi ben affacciata sulle esperienze artistiche del nostro tempo .
E tuttavia la volontà di affermare oggi la sua consapevole presenza e di comunicare una propria cifra stilistica non si accompagna affatto al tentativo di ‘agganciare’ lo spettatore, né ci pare miri a richiedere il conforto del punto di vista neutrale di chi osserva.
Lo dimostrano gli ultimi lavori dell’artista, frutto di un sentire pittorico non riducibile a dati pregressi, ma che si proietta addirittura ‘oltre’, come se fosse una specie di sonda che cerca di penetrare in sentieri ancora non ben esplorati in ambito artistico (figg.11,12,13,14,15,16).
Certo, con la sua pittura di Anna Di Fusco ha la legittima ambizione di voler evidenziare le proprie intuizioni e dar corpo alla percezione delle proprie esperienze quotidiane, ma dichiarando immediatamente però, per le forme che delinea e per i materiali con cui compone, la propria differenza e ponendosi anzi come una specie di bersaglio allo sguardo del pubblico.
E’ questo probabilmente il modo migliore, per quanto si può ritenere possibile, di sottrarsi alla patetica schiera dei semplici riproduttori di immagini.

fig.11

fig.12

fig.13

fig.14
fig.15

fig.16

martedì 9 luglio 2013

Un capolavoro inedito di Domenico Gargiulo

Domenico Gargiulo - la predica del Battista - olio su rame - Milano collezione privata

Quasi ogni giorno ricevo richieste di aiuto da parte di studenti che debbono preparare la tesi di laurea o di dottorato su pittori del Seicento napoletano, libri da parte di scrittori esordienti con la speranza di una benevola recensione sulle riviste di critica letteraria alle quali collaboro, ma soprattutto foto di dipinti di cui si vuole conoscere l’autore. In genere si tratta di opere di scuola di scarso valore venale, per cui, l’altro giorno sono rimasto piacevolmente meravigliato, quando ho avuto modo di apprezzare uno stupendo olio su rame di un collezionista Milanese, il quale, grande appassionato d’arte, aveva anche correttamente collocato l’opera: «“La predica del Battista”, se pur presenta evidenti affinità con la scuola olandese-italianizzante, ricorda sotto altri aspetti gli esiti di alcuni artisti Napoletani tra i quali Beltrano, Gargiulo e Spinelli».
Eliminando Spinelli dalla diatriba, resta arduo decidere sulla paternità del rame, non tanto per la inveterata abitudine degli artisti partenopei di copiarsi a vicenda (ed a tal proposito è illuminante l’albero col ramo secco sulla destra: un chiaro prelievo da Salvator Rosa), quanto per la vicinanza stilistica tra i due colleghi negli episodi storici o evangelici, nei quali il paesaggio boschivo, il cielo e l’ampio orizzonte costituiscono parte integrante e significativa della composizione.
Prima di passare ad esaminare “ai raggi X” il dipinto anticipo che la soluzione dell’enigma mi è stata offerta dal bambino paffuto dal volto bizzarro con la mano protesa in basso a sinistra, che compare identico in numerosi lavori del Gargiulo. Premetto che ho sofferto nel decidermi, perché amo entrambe i pittori e di entrambi posseggo un’opera: di Beltramo (sul quale ho scritto una monografia) un “Martirio di San Sebastiano”, che troneggia nella mia camera da letto ed un splendida “decollazione di San Gennaro” del Gargiulo, più volte esposta in mostre, la quale accoglie, in buona compagnia, gli ospiti nel mio salotto.
Partiamo dall’esame del cielo che compare nella “predica del Battista”, nel quale si intravedono le patognomoniche nuvole bianche orlate di rosa del Gargiulo, mentre l’orizzonte con una montagna in lontananza, è presente in entrambi i pittori.
La definizione del fogliame, che copre tutte le tonalità del verde è di ottima fattura, un altro dettaglio che rinvia a Micco Spataro, a differenza della folla di personaggi, che assistono assorti alle parole del Santo, i quali raramente presentano effetti caricaturali dei volti, fattore che potrebbe far pensare al Beltramo, mentre infine lo splendore cromatico della composizione, accentuato dal supporto in Rame, rinvia di nuovo alla sgargiante tavolozza del Gargiulo.

 Gargiulo-Adorazione dei pastori  (Napoli, Museo di S.Martino)

Gargiulo-Decapitazione di S.Gennaro nella Solfatara di Pozzuoli (Napoli, Collezione della Ragione)

Gargiulo-I certosini rendono grazie per la scampata peste (Napoli, Museo di S.Martino)

Gargiulo-La rivolta di Masaniello (Napoli, Museo di S.Martino)



Domenico Gargiulo, più noto come Micco Spataro, dal mestiere del padre, va considerato, nel variegato panorama artistico attivo intorno alla metà del XVII secolo, ricco di giganti del pennello, un minore, ma tra questi, mi sento di definirlo: “il maggiore tra i minori”.
Le sue quotazioni sono salite da quando, una monumentale monografia prima ed una esaustiva mostra poi, lo hanno fatto conoscere ed apprezzare ad un vasto pubblico di appassionati.
Amato da Raffaello Causa, che per anni con lo pseudonimo di Micco Spadaro ha firmato i suoi colti articoli divulgativi sui quotidiani locali, il Gargiulo è noto soprattutto per i suoi quadri illustranti episodi di cronaca napoletana, tra cui eccezionale la peste conservata al museo di San Martino.
Oltre a questo genere di tele, egli ha eseguito notevoli paesaggi, sull’onda dell’insegnamento di Salvato Rosa e per venire incontro alle richieste di una committenza laica e borghese, che non amava i soggetti devozionali.
Sopravvisse alla peste del 1656, che spazzò via un’intera generazione di pittori, perché si rifugiò nella certosa di San Martino, dove eseguì alcuni celebri dipinti, come quello raffigurante i monaci che lo accolsero con i volti rubicondi e paonazzi.
Continuò a lavorare per alcuni decenni come documentato da una polizza di pagamento del 1970 reperita nell’archivio storico del Banco di Napoli.

 Gargiulo-Mosè fa scaturire l'acqua dalla rupe (Napoli, Collezione privata)

 Gargiulo-Piazza Mercatello durante la peste del 1656 (Napoli, Museo di S.Martino)

 Gargiulo-S.Lorenzo si prepara al martirio (Londra, Walpole Gallery)

 Gargiulo-Ultima cena (Napoli, S.Maria della Sapienza)


BIBLIOGRAFIA
A. della Ragione - Collezione della Ragione – Napoli 1997
A. della Ragione – Il secolo d’oro della pittura Napoletana (10 tomi) – Napoli 1998-2001
A. della Ragione – E Micco ritornò alla sua certosa (recensione della mostra) – Il Roma 2002
A. della Ragione – Il maggiore tra i minori – Napoli.com 2007
A. della Ragione – Agostino Beltramo. Uno stanzionesco falconiano – Napoli 2010
A. della Ragione – La pittura napoletana del Seicento (repertorio fotografico a colori) tomi I-II ad vocem – Napoli 2011
G. Sestieri, B. Daprà – Domenico Gargiulo detto Micco Spadaro (monografia) - Milano 1994

Una monografia su Paolo de Matteis


Mentre da decenni studiosi ed appassionati attendono una grande mostra su Francesco Solimena e soprattutto una monografia aggiornata sulla sua opera, che aggiorni quella redatta nel 1958 da Ferdinando Bologna, divenuta oramai un libro da antiquariato del valore di alcune migliaia di euro, grazie al lavoro di uno studioso americano da tempo residente a Roma: Livio Pestilli, esce un esaustivo volume dedicato ad uno dei suoi più validi rivali.
Il testo: “Paolo de Matteis, neapolitan painting and cultural History in Baroque Europe (ashgan, farnham, surrey)” è uscito per il momento solo in Gran Bretagna, a dimostrare, se ve ne fosse bisogno della valenza internazionale della pittura napoletana. È un destino che accomuna tutti i testi sulla produzione figurativa all’ombra del Vesuvio, soprattutto quelli riguardanti il secolo d’oro, di vendere più all’estero che in Italia.
Ad un catalogo ragionato dei dipinti del de Matteis lavorava da tempo un mio allievo: Francesco Napolitano, ma purtroppo è sempre più difficile trovare un editore disposto a rischiare su un giovane, per quanto di talento.
Paolo de Matteis, allievo di Luca Giordano, nasce nel 1662 a Piano Vetrale, una frazione di Oria del Cilento ed è attivo fino al 1728, occupando una posizione di rilievo nel panorama artistico, non solo napoletano, soprattutto nei primi decenni del Settecento.
A differenza del Solimena, il quale, nei suoi 90 anni di attività non si è mai spostato da Napoli, de Matteis ha viaggiato molto soggiornando a Roma, Genova e Parigi, ed inviando opere non solo a collezionisti italiani, ma anche in Francia, Spagna, Austria, Germania e Inghilterra.
Il lavoro di Pistilli è frutto di lunghe indagini e parte naturalmente dalla lunga biografia che gli dedica il De Dominici, il quale, contemporaneo e ammiratore del Solimena lo indica come un artista di bassa statura “ofano” e rapidissimo nel completare le sue tele, addirittura più del suo maestro, soprannominato “Luca fa presto”. Ma quando passa ad esaminare la sua produzione esprime spesso dei giudizi lusinghieri.
Egli praticava dei prezzi di gran lunga inferiori al Solimena, tra i più cari artisti europei, con committenti importanti che gli affidavano opere di altissimo livello.
Un momento focale nel percorso artistico del de Matteis è costituito dall’incontro, avvenuto a Napoli nel 1711, con il conte di Shaftesbury, raffinato filosofo, il quale influenzerà il senso estetico del pittore, come possiamo apprezzare nel celebre: “Ercole al bivio”, conservato a Gile’s house, Dorset in Inghilterra.
Nel libro viene dedicata particolare attenzione al soggiorno parigino del pittore, adoperando un linguaggio colto, ma nello stesso tempo divulgativo.
La parte iconografica è molto ricca e si avvale di foto a colori di Claudio Garolfalo. Alla fine l’artista è delineato come abile quanto bizzarro e tra i protagonisti del Barocco italiano.

BIBLIOGRAFIA
A. della Ragione – il secolo d’oro della pittura napoletana – 10 tomi (ad vocem) - Napoli 1998-2001
A. della Ragione – la pittura napoletana del Seicento – (repertorio fotografico a colori) tomi I–II (ad vocem) - Napoli 2011
R. Lattuada – il volto di de Matteis, il genio barocco - pag 48 Il Mattino del 21/6/2013

 Paolo de Matteis - la  pittura che ritrae l'artista e mostra il volto di de Matteis


lunedì 8 luglio 2013

Quattro inediti di pittura napoletana


Aggiunte ad Elena Recco, Francesco Fracanzano, Aniello Falcone e Francesco De Mura


La pittura di genere, il paesaggio e, in particolare, la “Natura morta” ebbero a Napoli, nel seicento, grande sviluppo. Tema privilegiato dell’indagine naturalistica di pittori fiamminghi e caravaggeschi, la natura morta subì, nella pittura napoletana, una sorta di trasposizione in chiave barocca, con graduale passaggio dall’effetto di ammirazione per la fedeltà oggettiva della rappresentazione a quello di stupore e meraviglia per la fantasia dell’invenzione compositiva.
Specialisti del genere della natura morta furono, tra i primi, Luca Forte (Napoli 1610/15-prima del 1670) e Paolo Porpora (Napoli1617-1673) che dipinse tavole con ricche composizioni di ortaggi, fiori e frutta e più tardi a Roma (1656-1658), anche insetti e rettili, dai colori vivissimi su fondi di ombra cupa.
Di gusto pienamente barocco, nella fantasia ed esuberanza delle composizioni, nel più graduato dosaggio di luci e penombre, sono le nature morte di Giovanni Battista Ruoppolo (Napoli1620?-1685), veri e propri trofei di vegetali e di animali marini, soggetto quest’ultimo prediletto anche da Giuseppe Recco (Napoli 1634-Alicante 1695), Figlio e, come il Ruoppolo, padre di altri pittori di nature morte, che si recò anche il Lombardia, acquistando un cromatismo raffinato e un chiaroscuro che ha fatto parlare di neocaravaggismo.
Giuseppe ebbe due figli Nicolamaria, autore di tele modeste, quasi una caricatura dello stile paterno, ed Elena, che, molto lodata dal De Dominici, dimorò a lungo in Spagna, dove trovò lavoro alla corte del Re Carlo II.
Per identificare le tele di Elena, spesso fatte passare da antiquari spericolati per opere di Giuseppe, le quali godono di una maggiore quotazione, esiste un segreto: bisogna attentamente osservare le squame dei pesci, caratterizzate costantemente da una tonalità virante dal rosa al rosato, come possiamo constatare nella tela in esame (fig.1) un vero e proprio trionfo marino nel quale distinguiamo triglie, razze, un polipo, un cesto di vimini, posti su un piano di pietra.

Figura 1: Elena Recco - trionfo marino

Il quadro è stato presentato di recente (maggio 2013) in un’asta della “Minerva Audiction” a Roma, correttamente attribuito e con una scheda esaustiva di Valentina Ciancio: «La presente attribuzione si basa su confronti stilistici con altre opere di Elena Recco, a partire dal dipinto firmato raffigurante un trionfo di pescato al castello di Donaveschingen in Germania, da cui sembra ripresa per analogo taglio compositivo, seppure in formato ridotto, la razza nel dipinto in esame. I riflessi argentei e grigio azzurri alternati alla particolare tinta rosata delle squame dei pesci e alla guizzante torsione dei loro corpi sono tutti aspetti che denunciano la mano abile dell’artista, che sa restituire la freschezza e l’abbondanza dei doni del mare».
Di ben maggiore valore venale è la seconda opera che andiamo ad esaminare: un olio su tavola (46x36 cm) raffigurante un San Pietro in preghiera (fig.2) di proprietà dell’antiquario Monsonego di Parigi, il quale richiama a viva voce la paternità di Francesco Fracanzano, allievo assieme al Fratello Cesare, nella bottega del Ribera.

Figura 2: Francesco Fracanzano - San Pietro in preghiera



Francesco originario della Puglia si trasferì giovanissimo a Napoli nella terza decade del Seicento e la sua prima opera documentata è un SS. Onofrio e Antonio Abate, già nella chiesa di Sant’ Onofrio dei ciechi.
Il santo in preghiera ha avuto in passato attribuzioni a Paolo Finoglio, del tutto errata e, più plausibile a Hendrick Van Somer, un fiammingo attivo a Napoli dopo il 1630 ed influenzato dagli esempi naturalistici di Ribera. Ma un esame più attento e la comparazione con figure simili di santi, illustrate nella mia monografia sull’autore, alla quale rimando, per gli opportuni confronti, non lasciano ombra di dubbio.
L’attenta definizione di ogni dettagli anatomico, la minuta lacrima, resa con preziosità caravaggesca, le mani giunte dalle unghie sporche, la pelle rugosa e la barba incanutita, sono particolari, appresi dal Fracanzano nella bottega del Valenzano e costituiranno la cifra stilistica lungo tutto il corso della sua carriera.

Figura 3: Aniello Falcone - battaglia di Poitiers



Una vera e propria sorpresa e di altissima qualità è il terzo dipinto, proposto alla mia attenzione da un celebre banchiere milanese e raffigurante la: “Battaglia di Poitiers” (fig.3) del 732, nella quale il Franco Carlo Martello fermò l’invasione degli Arabi, i quali avevano attraversato i Pirenei.
Fu un’impresa militare costosa , di cui fecero le spese gli usurai fiorentini che avevano finanziato Edoardo III d’Inghilterra.
Si tratta di uno dei capolavori di Aniello Falcone e presenta contemporaneamente quasi tutti gli aspetti patognomici della sua pittura, dalla scena principale ripresa in primo piano, alle montagne in lontananza con il caratteristico polverone, dal morto al centro in basso, al bianco cavalo rampante, il tutto reso con una tavolozza dai colori accesi ed emozionanti, come nella celebre battaglia conservata a Napoli nel museo di Capodimonte, un’aggiunta importante al catalogo dell’artista.
Pittore ammirato e celebrato anche fuori d’Italia, sebbene abbia trascorso l’intera sua lunga e operosa vita a Napoli, Francesco Solimena, detto l’Abate Ciccio (Canale di Serino 1657-Barra Napoli 1747) è da considerarsi il caposcuola della pittura napoletana del Settecento. Più che da Luca Giordano, Solimena, che apprese l’arte nella bottega paterna, guardò fin dall’inizio alle opere del Lanfranco da cui desunse il saldo modellato delle sue figure, e di Mattia Preti, al quale si ispirò invece nella ricerca dei contrastati effetti luministici. Con il Luca Giordano si confrontò invece nelle grandi imprese decorative, come le pitture della sagrestia di San Paolo Maggiore(1689-1690), rivelando tutto il suo talento di organizzatore di grandiose scenografie architettoniche (Solimena fu anche architetto), che si manifesta anche in dipinti di minori dimensioni (Elidoro cacciato dal tempio, Roma, Galleria Nazionale). Dopo un viaggio a Roma, dove ebbe contatti con il Maratta ed altri esponenti della corrente classicista, Solimena consolidò in quella direzione il suo stile, eseguendo opere come la “Cacciata di Eliodoro” (1725) nella Chiesa del Gesù nuovo e gli affreschi della Cappella di San Filippo Neri ai Gerolomini (1727-1730), che rimarranno esemplari per i suoi numerosi allievi e seguaci. Tra questi primeggiarono Corrado Giaquinto, Sebastiano Conca, il quale lavorò a Roma in ambiente classicistico, a Torino, e poi volgendo a modi giordaneschi, col suo rientro a Napoli nel 1751. Ma soprattutto Francesco De Mura (Napoli 1696-1782), il più fedele, almeno agli inizi, allo stile del maestro, autore di vasti cicli di affreschi a Montecassino (perduti) ed a Napoli. 

Figura 4: Francesco De Mura - San Francesco Di Paola



Un notevole inedito, proposto alla Vostra attenzione, è un San Francesco di Paola (fig.4) della collezione Jorio di Cosenza, il quale, con un corteo di angioletti che lo guarda con benevola ammirazione, appare in profonda meditazione con gli occhi rivolti al cielo, alla ricerca di ispirazione, mentre le mani incrociate in preghiera con le dita ossute sembrano indicare una tabella con la scritta charitas.
Questo dettaglio, apparentemente secondario, ci permette viceversa di avanzare il nome di Francesco Di Mura come autore della tela, tanto sorprendente è la somiglianza nella articolazione delle dita con il “Beato Francesco De Girolamo” (fig.5), conservato nella quadreria del Pio mnte della Misericordia, facente parte del lascito del pittore alla sacra istituzione e che Raffaello Causa datava al 1758.

Figura 5: Francesco Di Mura- beato Francesco De Gerolamo



A differenza di un’altra parte della produzione del De Mura, più delicata e dalla tavolozza densa di preziose tessiture cromatiche il “San Francesco di Paola”, come il “Beato De Gerolamo”, è espressione di una ritrattistica attenta alla definizione del dato naturalistico, in sintonia con la lezione caravaggesca, rivisitata e propagandata per decenni a Napoli dal Ribera.
Le dimensioni ridotte del dipinto fanno propendere per una destinazione di devozione domestica e proprio questa particolarità  permette di istituire ulteriori raffronti con il “Sant’ Agostino Cardioforo” (fig.6) sempre conservato nella quadreria del Pio Monte e con un’altra versione del “San Francesco di Paola” (fig.7) fatta conoscere da Gianni Bozzo, caratterizzata da una spiccata luminosità delle vesti, a dimostrazione della varietà espressiva dell’artista.


Figura 6: Francesco De Mura- Sant Agostino Cardioforo



Figura 7: Francesco De Mura- San Francesco Di Paola



BIBLIOGRAFIA
della Ragione – Aniello Falcone opera completa – Napoli 2008
della Ragione – La natura morta dei Recco e Ruoppolo – Napoli 2009
della Ragione – Francesco Fracanzano opera completa – Napoli 2011
della Ragione – La pittura napoletana del Seicento (repertorio fotografico a colori) tomi I e II – Napoli 2011



mercoledì 12 giugno 2013

Mattia Preti tra Caravaggio e Luca Giordano


fig.1-Autoritratto

La più grande esposizione sul Cavaliere calabrese, alias Mattia Preti, si terrà presso la reggia di Venaria dal 16 maggio al 15 settembre a cura di Vittorio Sgarbi e Keith Sciberras.
La mostra copre anche il periodo maltese, ritenuto più modesto dalla critica e quasi completamente sconosciuto agli appassionati, una fase durata quasi 40 anni, dal 1661 al 1693, perché l’artista non riuscendo a reggere il confronto col Giordano, si ritirò nella “Piccola isola dalla grande storia” dove, coadiuvato da una fiorente bottega, continuò la sua attività, inviando opere in tutta Europa per committenti anche di alto rango.
Primo grande interprete della pittura barocca che viene a interrompere definitivamente alla metà del secolo, il corso del naturalismo napoletano, è Mattia Preti (fig. 1) (Taverna 1613-Malta 1699), detto il Cavalier calabrese perché Cavaliere di Malta dal 1642. Dopo un primo soggiorno a Napoli si stabilì a Roma (1630-1656), compì viaggi in Italia settentrionale ( a Modena nel 1652-1653 dipinse cupola e coro di San Biagio). A Roma dove lasciò molte opere (affreschi in San Carlo ai Catinari, 1642, e in Sant’Andrea della Valle, 1651), Mattia Preti fu direttamente partecipe di quel felice momento di fervore innovativo, di incontro-scontro di tendenze e di idee e che accompagna il primo fiore del barocco romano. Esperienza ben presente nella sua arte, che è stata definita “geniale trasposizione in campo barocco dei principi formali del caravaggismo”. Il Preti si avvale infatti degli effetti di luce particolare e radente, ma li applica in funzione dinamica a composizioni affollate di personaggi in continuo movimento su fondali di cielo tempestoso o di scenografie architettoniche in un ricchissimo repertorio di variazioni luministiche, lampanti nella “Resurrezione di Lazzaro” (fig. 2) conservata a Roma nella Galleria Nazionale di Arte Antica o nel “Convito di Baldassarre” (fig. 3) e nel “Convito di Assalonne (fig. 4) del Museo di Capodimonte, che dedica un’intera sala al sommo pittore. 
fig.2-Resurrezione di Lazzaro

fig.3-Convito di Baldassarre

fig.4-Convito di Assalonne

La fase napoletana è la più pregnante del suo percorso artistico, ricca di capolavori, mentre la gamma cromatica della sua tavolozza, come in passato era capitato ad Artemisia, vira vigorosamente verso colori rossiccio bruni, cianotici, con volti sofferenti ai limiti dell’anossia.
In passato si credeva che il suo soggiorno all’ombra del Vesuvio fosse durato solo 4 anni, viceversa copre dal 22 marzo 1653, data indicata su una polizza di pagamento, al settembre del 1661, quando si trasferisce definitivamente a Malta, dopo esserci stato 3 mesi nel 1659, per favorire l’accettazione della sua pratica come Cavaliere di Grazia.
Appena nell’”Isola dei Cavalieri” fu subito attivo nella decorazione della co-cattedrale di San Giovanni Battista a La Valletta, per la quale aveva già inviato da Napoli alcune tele: intorno al 1656 il “San Giorgio con il drago”(fig. 5), un “San Francesco Saverio” nel 1658, per la cappella d’Aragona e nel 1659 un “Martirio di Santa Caterina” (fig. 6) per la chiesa della nazione italiana.

fig.5-S.Giorgio e il drago

fig.6-Martirio di S.Caterina

Numerose sono le opere da ricordare eseguite durante gli anni napoletani, tra queste spiccano il grandioso soffitto cassettonato (figg. 7-8) con “Storie di San Pietro Celestino e Santa Caterina” nella chiesa di San Pietro a Maiella e soprattutto il ciclo di affreschi sulle porte di Napoli con il drammatico groviglio di corpi, provocato dalla peste del 1656, un documento impressionante, di cui purtroppo è rimasta una labile traccia, sotto una coltre di sudiciume, nella decorazione di Porta San Gennaro (fig.9), fortunatamente ci sono giunti due splendidi bozzetti (figg. 10-11) preparatori, dai colori squillanti, conservati nella sala Preti della pinacoteca napoletana.
fig.7-Storie di S.Pietro Celestino

fig.8-Storie di S.Caterina

fig.9-La Vergine e i Santi patroni

fig.10-Bozzetto per la Peste

fig.11-Bozzetto per la Peste

E ci sia permesso citare una nostra scoperta: una chicca preziosa custodita nella sacrestia della chiesa di San Francesco d’Assisi a Forio d’Ischia. Si tratta di una spettacolare “Pietà” (fig. 12), dai colori lividi e cianotici, da assegnare senza ombra di dubbio a quel gigante del secolo d’oro che fu Mattia Preti. In passato la critica si è distrattamente occupata del dipinto foriano adombrando l’ipotesi che potesse trattarsi di una copia; ma sia le figure femminili che il volto del Cristo mostrano una morbidezza di tocco ed una preziosità materica che, vanamente potremmo pretendere dalla mano di un copista, anche se molto abile. Se vogliamo invece vedere una copia di questa tela autografa, dobbiamo recarci al Prado, dove potremo ammirare lo stesso soggetto, ma di minore qualità, replicato da uno dei più noti allievi ed imitatori del Preti: lo spagnolo Pedro Nugnez de Villacencio. Quanto siamo ricchi e spreconi noi napoletani! Conserviamo chiusa e non visitabile una tela di uno dei grandi maestri del Seicento europeo, mentre all’estero, in uno dei più celebri musei del mondo, espongono la copia.
fig.12-Pietà

Passiamo ora ad esaminare la fase maltese del Preti, la quale richiede una visita extra mostra, costituita dal grandioso impianto decorativo della co-cattedrale di San Giovanni Battista a La Valletta, premettendo che ci farà da bussola l’esaustivo studio dell’architetto Costanzo, il quale ha dedicato all’argomento un corposo capitolo nel suo monumentale volume” Pittura tra Malta e Napoli nel segno del Barocco”.
Questo ciclo di affreschi (figg. 13-17)rappresenta l’apice della sua maturazione figurativa, memore delle esperienze romane e napoletane.La tematica ricorrente è in linea con le indicazioni della rappresentazione sacra post-tridentina.L’agiografia giovannea illustra con cura l’apoteosi dell’ordine che sconfigge l’eresia, in una corale apoteosi della religione controriformista.

fig.13-Battesimo di Cristo

fig.14-Flagellazione di Cristo

fig.15-Storie di S.Giovanni Battista

fig.16-Storie di S.Giovanni Battista

fig.17-Predica di S.Giovanni Battista

Gli scenari neoveneti rappresentano lo sfondo ideale nelle Storie di San Giovanni, rivisitate secondo un gusto decorativo ispirato alla luminosità veronesiana, con l’inserimento di echi caravaggeschi e stilemi caraccioleschi nella definizione volumetrica delle figure.
A questo sommo capolavoro si affianca una vasta produzione di tele a carattere religioso, in gran parte presenti in mostra, come l’”Eterno Padre” (fig. 18), il “Battesimo di Cristo” (fig. 19) e l’”Incredulità di San Tommaso” (fig.20), normalmente conservate Museo Nazionale di Belle Arti. Ricordiamo inoltre il “San Giorgio e il drago” (fig. 21), realizzato nel 1678 nella Basilica di San Giorgio, a Victoria, il pregiatissimo “Matrimonio mistico di S. Caterina” (fig. 22) nella cappella d’Italia della co-cattedrale ed infine tra le ultimissime opere “La guarigione del padre di San Publio” (fig. 23) della cattedrale di San Paolo a Mdina ed il “San Pietro Penitente” (fig. 24) del Museo del Collegio Wignancourt a Rabat.
E concludiamo sottolineando quanto l’influenza del Preti si estenderà ad un valido gruppo di pittori locali, tra cui Giacchino Loretta e Giovanni Paolo Chiesa, attivi nella sua bottega, mentre al suo decorativismo si accosteranno Giuseppe Arena, Carlo Gimach e Gian Nicola Buhagiar.
fig.18-L'Eterno Padre

fig.19-Battesimo di Cristo

fig.20-Incredulitá di S.Tommaso

fig.21-S.Giorgio e il drago

fig.22-Matrimonio mistico di S.Caterina

fig.23-La guarigione del padre di S.Publio

fig.24-S.Pietro penitente


Bibliografia

  • Della Ragione A. – Il Secolo d’oro della Pittura Napoletana (10 volumi) 1998-2001.
  • Della Ragione A.- Ischia Sacra. Guida alle chiese. Napoli 2005.
  • Costanzo S.- Pittura tra Malta e Napoli nel segno del Barocco. Napoli 2011.
  • Della Ragione A.- La pittura del Seicento napoletano (Repertorio fotografico a colori). Tomi 1-2 Napoli 2011.