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giovedì 22 giugno 2017

psicoterapia cognitivo comportamentale



Ansia, depressione, rabbia, colpa, vergogna, sono emozioni che proviamo quotidianamente. Quando le emozioni sono troppo intense o durature rispetto alla situazione nella quale ci troviamo, possiamo considerare l’eventualità di avere un problema emotivo e quindi di aver bisogno di una valida psicoterapia cognitivo comportamentale.
Per esempio, se una discussione con qualcuno ci fa star male per alcuni giorni, se piccoli difetti nelle cose che facciamo ci fanno sentire delle nullità, se compiere attività quotidiane, come fare la spesa o parlare con i colleghi di lavoro, genera un’ansia intollerabile, siamo probabilmente di fronte ad un disagio psicologico che può richiedere un intervento professionale.
La terapia comportamentale: aiuta a modificare la relazione fra le situazioni che creano difficoltà e le abituali reazioni emotive e comportamentali che la persona ha in tali circostanze, mediante l’apprendimento di nuove modalità di reazione. Aiuta inoltre a rilassare mente e corpo, così da sentirsi meglio e poter riflettere e prendere decisioni in maniera più lucida.
La terapia cognitiva: aiuta ad individuare certi pensieri ricorrenti, certi schemi fissi di ragionamento e di interpretazione della realtà, che sono concomitanti alle forti e persistenti emozioni negative che vengono percepite come sintomi e ne sono la causa, a correggerli, ad arricchirli, ad integrarli con altri pensieri più oggettivi, o comunque più funzionali al benessere della persona.
Quando sono combinate nella psicoterapia cognitivo comportamentale, queste due forme di trattamento diventano un potente strumento per risolvere in tempi brevi forti disagi psicologici.

mercoledì 25 gennaio 2017

ETICHETTARE una persona


ETICHETTARE quanto può danneggiare la vita di una persona?



dal dizionario: etichettare, definire qualcosa o qualcuno in un certo modo attribuendogli sommariamente una certa qualifica.
Sinonimo: bollare-
E' sempre in famiglia che nascono le credenze sbagliate che ci fanno soffrire tutta la vita, a meno che non comprendiamo che dobbiamo liberarcene per trovare noi stessi.
Sinonimo di etichetta è anche Marchio-
Spesso si etichettano i bambini a secondo del loro andamento scolastico o delle loro condotte in casa; è un errore gravissimo.
Attribuire una etichetta è bloccare la crescita umana, può rovinare la vita di una persona.
E' dimostrato che la credenza che una persona ha su di un'altra può influire sul suo comportamento futuro;
questo effetto si chiama Pigmalione.
Spesso nelle famiglie si creano delle dinamiche perverse, si crea l'anello debole della catena e c'è un figlio che paga per tutti.
E' una dinamica perversa ma comoda che permette agli altri di sentirsi sollevati, al punto che diviene poi comodo di fronte anche a richieste di aiuto del povero etichettato, gli altri percepiranno sempre la stessa giustificazione: e va be perchè tu sei cosi., esempio.
E vi dico allora di etichetta si può morire!
tocca salvarsi da soli.
un abbraccio a tutti gli etichettati!! marchiati, bollati da  Patrizia Fazio Osteopata e Fisioterapista

martedì 3 maggio 2016

STUDIO MEDICO POLISPECIALISTICO GIFRAN




Lo studio medico polispecialistico Gifran di GIAMPIERO BRUNETTI Via Servio Tullio 101  - Napoli, offre visite specialistiche che coprono diverse branche della scienza medica.
Il centro di Napoli è specializzato in dermatologia e venereologia, medicina estetica, pediatria, neonatologia, oculistica e chirurgia oculare. È inoltre specializzato in ortopedia, traumatologia, osteopatia, chirurgia generale, dietoterapia, nutrizione umana, dietologia, psicologia, chirurgia plastica, ricostruttiva, odontoiatria ed implantologia. Presso il centro è possibile sottoporsi, tra gli altri, a trattamenti quali biorivitalizzazione, epilazione, melasma, biostimolazione, laserterapia, eliminazione di cicatrici, trattamenti anticellulite e trattamento delle rughe.

domenica 1 maggio 2016

Quando e perchè aiutare psicologicamente un bambino

 


Personalmente credo che abbia senso aiutarlo se sta vivendo una sofferenza che non è in grado di tollerare e che non ha uno scopo evolutivo: si tratta della differenza tra una frustrazione occasionale, che aiuta a crescere, e una deprivazione affettiva costante.
Un altro aspetto fondamentale riguarda la complessità dei fattori in gioco: quando sono molti e si influenzano a vicenda non è facile per un bambino - e chi se ne prende cura - identificarli tutti e capire da quali partire.
L'ambiente, la percezione, la frequenza (o assenza) degli stimoli, l'integrazione sensomotoria, le rappresentazioni mentali, la modulazione delle risposte, la padronanza psico-fisica, le emozioni, gli stili relazionali, gli schemi di pensiero, i processi decisionali, sono tutti fattori che possono giocare un ruolo determinante nel benessere o malessere di un bambino.
Le modalità in cui si presentano e vengono esperiti possono dare luogo a diverse combinazioni che poi si possono manifestare in diverse forme (ansia, disturbi dell'apprendimento, iperattività, chiusura relazionale, ADHD, disturbi alimentari, ecc.).
Il nostro scopo come professionisti deve essere: capire bene, mappare tutti i fattori in gioco e individuare le strategie specifiche per riportare in fisiologia tutti gli aspetti e le relative dinamiche causa-effetto.

Psicologo e Psicoterapeuta Virginia d'Angelo


mercoledì 2 marzo 2016

Molti dolori derivano da problemi alla colonna vertebrale









Spesso gli organi del nostro corpo sono la spia che indica problemi alla colonna vertebrale, e allo stesso modo essa ci invia segnali ben precisi su alcune patologie da cui i nostri organi potrebbero essere affetti. Questa “comunicazione bidirezionale” avviene perché vi è un collegamento diretto tra organi e colonna vertebrale.
Tale collegamento è giustificato dal fatto che attorno alla colonna vertebrale si organizza l’intera struttura del corpo. La testa, il torace, le spalle (con le braccia e le mani), il bacino (con le gambe e i piedi), si inseriscono attraverso l’apparato osteo-articolare a vari livelli sulle vertebre: 33-34 segmenti ossei articolati tra loro dai dischi intervertebrali che partendo dall’alto si distinguono in 7 vertebrali cervicali, 12 toraciche o dorsali, 5 lombari, 5 sacrali (fuse insieme in un unico osso: il sacro), 4 o 5 coccigee.
Spesso trattiamo male la nostra colonna vertebrale, con posture scorrette, sforzi eccessivi, movimenti bruschi ecc. Tali comportamenti provocano problemi ad essa che,  quando qualcosa non va, ci avvisa tramite gli organi collegati a quel determinato punto dove si manifesta il problema,  in virtù della connessione sopra citata.

Osteopata Patrizia Fazio

mercoledì 24 settembre 2014

Disturbi d'ansia




L'ansia è uno stato emotivo spiacevole caratterizzato da un senso di oppressione e da un'incertezza timorosa di un qualche evento non ben definito; si è infatti spesso preoccupati in risposta ad un vago, distante, non identificabile pericolo, di cui non se ne capisce l'origine e tanto meno il motivo. Tale stato è accompagnato da tensione e nervosismo e da una serie di sintomi fisiologici più o meno accentuati come palpitazioni, sudorazione fredda improvvisa, tremore, nausea.
Termini quali ansia e paura vengono spesso usati in modo indifferente, ma con paura s'intende l'emozione esperita di fronte ad una specifica situazione valutata come pericolosa per la nostra incolumità fisica e/o psicologica, mentre l'ansia altro non è che la reazione emotiva alla soggettiva valutazione di pericolo. In condizioni normali l'ansia è un meccanismo che anticipa la percezione dei pericoli primi che si identifichino chiaramente e prepara l'organismo all'attacco o alla fuga. 
Avere paura è una naturale reazione ad un pericolo reale; significa essere caduti preda dell’istinto di sopravvivenza: la paura infatti aiuta gli animali (e quindi anche l’uomo) a sopravvivere alle minacce alla propria salute (fisica e psicologica).
Questo tipo di paura si chiama riposta di “attacco-o-fuga”. La risposta di attacco-o-fuga serve a buttarci nella mischia per colpire più forte che possiamo chi ci minaccia, o a farci scappare a gambe levate il più velocemente possibile. 
L’unico scopo di questo comportamento geneticamente determinato è proteggerci da un pericolo reale.
L'ansia è quindi come un sistema di allarme ed è utile alla sopravvivenza della specie. Entro certi limiti l'ansia permette di migliorare le proprie prestazioni, consentendo di utilizzare al meglio le risorse disponibili. Al contrario, quando quei limiti vengono superati, l'ansia può creare un effetto di blocco o interferenza tali da peggiorare la prestazione.
Quando questo meccanismo è mal regolato, l'ansia si traduce in una risposta sproporzionata o irrealistica a preoccupazioni relative all' esistenza o all'ambiente: lo stato di ansietà può raggiungere un livello tale da impedire un ragionevole benessere emotivo e ostacolare l'efficienza nella vita.
In questi casi, l'ansia anziché favorire l'adattamento della persona all'ambiente, lo peggiora e in taluni casi rende necessario un intervento terapeutico.

lunedì 8 settembre 2014

Psico-cosa?



Che differenza c'è
Non tutti quelli che fanno un lavoro che inizia con "psico-" fanno le stesse cose. Per avere le idee un po' più chiare (e per non rischiare di sprecare tempo e denaro rivolgendoci alla figura meno adatta al nostro problema), cerchiamo di fare un po' di chiarezza tra i vari "psico-mestieri".


  • Psicologo

Lo psicologo tratta i disagi interiori fornendo un aiuto non farmacologico (colloqui di sostegno, consulenze, tecniche di rilassamento, ecc.). Non ha nessuna competenza sui farmaci, a meno che non sia anche un medico. Uno psicologo non medico non ha alcun titolo per prescrivere medicine.
Per definirsi psicologi bisogna essere iscritti all'Ordine Professionale della propria regione. Il che significa:
- essersi laureati in Psicologia o in Medicina;
- dopo la laurea, avere fatto un tirocinio pratico di almeno un anno;
- dopo il tirocinio, avere superato un esame di stato.
Da qui potete vedere che con la sola laurea in Psicologia non ci si può definire psicologi. Solo chi è iscritto all'Ordine, e nessun altro, può dirsi psicologo. Questo è un punto molto importante, perchè chi si presenta come psicologo ma non è iscritto all'Ordine
- non è in grado di garantire una preparazione professionale adeguata;
- davanti alla legge commette il reato di "esercizio abusivo della professione".


  • Psicoterapeuta

La psicoterapia è un intervento che va più in profondità della semplice consulenza psicologica.
Ci sono moltissime scuole di psicoterapia, ognuna delle quali ha un suo orientamento teorico e tecnico: quindi non è corretto parlare di "terapia" al singolare, come se fosse un intervento sempre uguale e fatto sempre allo stesso modo. E' più giusto parlare di "psicoterapie" al plurale. Questo vuol dire che i terapeuti possono lavorare in modi anche molto differenti fra loro. Perciò è impossibile spiegare cosa succede durante una terapia perché le cose possono cambiare moltissimo in base alla scuola seguita dal terapeuta. La cosa migliore, quindi, è chiedere direttamente a lui come lavora.
Quanto alla legge, per fare gli psicoterapeuti bisogna:
- essere già psicologi,
- avere frequentato, dopo la laurea, una scuola di specializzazione riconosciuta dallo Stato di almeno quattro anni.
Quindi chi è "soltanto" psicologo non può fare terapia e non può chiamarsi psicoterapeuta.
Per essere certi che lo psicologo a cui ci rivolgiamo sia anche terapeuta, la strada più sicura è consultare il suo Ordine Professionale: deve esservi iscritto con entrambi i titoli.


  • Psicanalista (o psicoanalista)

Il termine "psicanalista" era nato inizialmente per definire chi aderiva al pensiero freudiano, ma successivamente ha finito per indicare chiunque, nella sua attività, si ispira ai concetti di base della psicanalisi (freudiana o meno).
La psicoanalisi è sia una teoria sul funzionamento della mente che un modo specifico di intervento sui disagi interiori. Si associa in genere al nome di Sigmund Freud, che fu il primo a metterla a punto. Si ignora spesso, però, che da Freud in poi sono nate moltissime correnti psicoanalitiche: questo vuol dire che è un errore fare coincidere la psicoanalisi esclusivamente con Freud.
Quelle scuole di psicoterapia che si ispirano alla psicoanalisi insegnano a praticare la cosiddetta "psicoterapia psicoanalitica".


  • Psichiatra

Lo psichiatra è un laureato in Medicina che ha, dopo la laurea, ottenuto la specializzazione in Psichiatria. Essendo un medico, ha competenza per prescrivere farmaci. Questo gli permette di intervenire sui disturbi mentali dal punto di vista farmacologico.
E' un errore pensare che lo psichiatra, in quanto medico, sappia intervenire solo tramite le medicine. Dipende molto dall'approccio che egli sceglie di seguire. Accanto a specialisti che privilegiano l'uso dei farmaci si trovano altri che affrontano le malattie associando ai farmaci un intervento anche psicologico (gestito o sempre da loro o appoggiandosi ad altri professionisti).

sabato 26 luglio 2014

Le cinque fasi dell'elaborazione del lutto



Secondo Elisabeth Kübler-Ross questo è uno strumento che permette di capire le dinamiche mentali più frequenti della persona a cui è stata diagnosticata una malattia terminale, ma gli psicoterapeuti hanno constatato che esso è valido anche ogni volta che ci sia da elaborare un lutto solo affettivo e/o ideologico.
Da sottolineare che si tratta di un modello a fasi, e non a stadi, per cui le fasi possono anche alternarsi, presentarsi più volte nel corso del tempo, con diversa intensità, e senza un preciso ordine, dato che le emozioni non seguono regole particolari, ma anzi come si manifestano, così svaniscono, magari miste e sovrapposte.
  • Fase della negazione o del rifiuto: “Ma è sicuro, dottore, che le analisi siano fatte bene?”, “Non è possibile, si sbaglia!”, “Non ci posso credere” sono le parole più frequenti di fronte alla diagnosi di una patologia organica grave; questa fase è caratterizzata dal fatto che il paziente, usando come meccanismo di difesa il rigetto dell'esame di realtà, ritiene impossibile di avere proprio quella malattia. Molto probabilmente il processo di rifiuto psicotico della verità circa il proprio stato di salute può essere funzionale al malato per proteggerlo da un’eccessiva ansia di morte e per prendersi il tempo necessario per organizzarsi. Con il progredire della malattia tale difesa diventa sempre più debole, a meno che non s’irrigidisca raggiungendo livelli ancor più psicopatologici.
  • Fase della rabbia: dopo la negazione iniziano a manifestarsi emozioni forti quali rabbia e paura, che esplodono in tutte le direzioni, investendo i familiari, il personale ospedaliero, Dio. Una tipica domanda è “perché proprio a me?”. È una fase molto delicata dell’iter psicologico e relazionale del paziente. Rappresenta un momento critico che può essere sia il momento di massima richiesta di aiuto, ma anche il momento del rifiuto, della chiusura e del ritiro in sé.
  • Fase della contrattazione o del patteggiamento: in questa fase la persona inizia a verificare cosa è in grado di fare ed in quali progetti può investire la speranza, iniziando una specie di negoziato, che a seconda dei valori personali, può essere instaurato sia con le persone che costituiscono la sfera relazione del paziente, sia con le figure religiose. “se prendo le medicine, crede che potrò…”, “se guarisco, poi farò…”. In questa fase, la persona riprende il controllo della propria vita, e cerca di riparare il riparabile.
  • Fase della depressione: rappresenta un momento nel quale il paziente inizia a prendere consapevolezza delle perdite che sta subendo o che sta per subire e di solito si manifesta quando la malattia progredisce ed il livello di sofferenza aumenta. Questa fase viene distinta in due tipi di depressione: una reattiva ed una preparatoria. La depressione reattiva è conseguente alla presa di coscienza di quanti aspetti della propria identità, della propria immagine corporea, del proprio potere decisionale e delle proprie relazioni sociali, sono andati persi. La depressione preparatoria ha un aspetto anticipatorio rispetto alle perdite che si stanno per subire. In questa fase della malattia la persona non può più negare la sua condizione di salute, e inizia a prendere coscienza che la ribellione non è possibile, per cui la negazione e la rabbia vengono sostituite da un forte senso di sconfitta. Quanto maggiore è la sensazione dell’imminenza della morte, tanto più probabile è che la persona viva fasi di depressione.
  • Fase dell’accettazione: quando il paziente ha avuto modo di elaborare quanto sta succedendo intorno a lui, arriva ad un’accettazione della propria condizione ed a una consapevolezza di quanto sta per accadere; durante questa fase possono sempre e comunque essere presenti livelli di rabbia e depressione, che però sono di intensità moderata. In questa fase il paziente tende ad essere silenzioso ed a raccogliersi, inoltre sono frequenti momenti di profonda comunicazione con i familiari e con le persone che gli sono accanto. È il momento dei saluti e della restituzione a chi è stato vicino al paziente. È il momento del “testamento” e della sistemazione di quanto può essere sistemato, in cui si prende cura dei propri “oggetti” (sia in senso pratico, che in senso psicoanalitico). La fase dell’accettazione non coincide necessariamente con lo stadio terminale della malattia o con la fase pre-morte, momenti in cui i pazienti possono comunque sperimentare diniego, ribellione o depressione.

mercoledì 16 luglio 2014

alcuni disturbi psicologici



LA DEPRESSIONE : è uno dei disturbi più comuni (si stimano che ne soffrono in Italia circa 5 milioni di persone).
Si caratterizza per:
- Umore marcatamente depresso, tristezza, disperazione, mancanza di speranza nel futuro e nelle proprie capacità, bassa autostima, sensi di colpa 
- Spesso la persona che ne soffre perde interesse per le attività, anche quelle piacevoli, si isola (abbandono degli hobbies, sport, attività sessuale)
- Ha spesso difficoltà a concentrarsi e a lavorare e si sente sempre stanco e privo di forze
- Soffre di insonnia o ipersonnia 
- Comunemente si manifestano crisi di pianto, ansia, irritabilità, preoccupazione eccessiva per la salute fisica (ipocondria) 

I DISTURBI d’ANSIA: sono disturbi molto diffusi (ne soffre circa il 4% della popolazione, in prevalenza donne)

IL DISTURBO D’ANSIA GENERALIZZATO: Si caratterizza per uno stato di costante ansia e preoccupazione eccessiva che la persona non riesce a controllare. La persona che ne soffre è sempre irrequieta, tesa, con i nervi a fior di pelle. 
- Ha spesso problemi di insonnia 
- Spesso soffre di disturbi psicosomatici (cefalea, gastrite, colon irritabile, contrazioni muscolari) 

L’ATTACCO DI PANICO: Insorgenza improvvisa ed inaspettata di un’intesa paura, apprensione o terrore che raggiunge rapidamente l’apice (di solito in 10 minuti o meno) e in cui la persona ha tachicardia, tremori, brividi, sudorazione, sensazione di soffocamento, dolori al petto, nausea e disturbi addominali, vertigini, svenimento, paura di morire. 

I DISTURBI DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE: Sono disturbi molto diffusi tra le adolescenti e le giovani donne (8% delle donne tra i 12 e i 25 anni soffrono di un problema alimentare, 1,5% soffre di Bulimia o Anoressia nervosa). Sempre più spesso ne sono soggetti anche i maschi. 
I principali disturbi del comportamento alimentare: 
Anoressia Nervosa Progressiva perdita di peso dovuto ad una notevole riduzione dell’apporto di calorie, ad un’ostinata ricerca dell’esilità e della magrezza ed ad una patologica paura di ingrassare.Allo scopo di ridurre il peso i pazienti effettuano diete ipocaloriche, esercizio fisico estremo, si provocano il vomito, abusano di lassativi e diuretici. 
Bulimia La persona ha delle crisi bulimiche in cui in un breve periodo di tempo mangia una grande quantità di cibo senza riuscire a controllarsi e a fermarsi. Per prevenire il possibile aumento di peso ricorre al digiuno, diete restrittive, vomito autoindotto, lassativi e diuretici, esercizio fisico intenso. 

venerdì 20 giugno 2014

Definizione di osteopatia



L’osteopatia è un sistema di diagnosi e trattamento che pur basandosi sulle scienze fondamentali e le conoscenze mediche tradizionali (anatomia, fisiologia, ect..) non prevede l'uso di farmaci né il ricorso alla chirurgia, ma attraverso manipolazioni e manovre specifiche si dimostra efficace per la prevenzione, valutazione ed il trattamento di disturbi che interessano non solo l'apparato neuro-muscolo-scheletrico, ma anche cranio-sacrale (legame tra il cranio, la colonna vertebrale e l'osso sacro) e viscerale (azioni sulla mobilità degli organi viscerali).
Inoltre a differenza della medicina tradizionale allopatica, che concentra i propri sforzi sulla ricerca ed eliminazione del sintomo, l'osteopatia considera il sintomo un campanello di allarme e mira all'individuazione della causa alla base della comparsa del sintomo stesso.

Definizioni
Dal "World Osteopathic Health Organization" (WOHO)
L'osteopatia è un sistema affermato e riconosciuto di prevenzione sanitaria che si basa sul contatto manuale per la diagnosi e per il trattamento.
Rispetta la relazione tra il corpo, la mente e lo spirito sia in salute che nella malattia: pone l’enfasi sull’integrità strutturale e funzionale del corpo e sulla tendenza intrinseca del corpo ad auto-curarsi. Il trattamento osteopatico viene visto come influenza facilitante per incoraggiare questo processo di auto-regolazione.
I dolori accusati dai pazienti risultano da una relazione reciproca tra i componenti muscolo-scheletrici e quelli viscerali di una malattia o di uno sforzo.
"Ho pensato che l'osso, osteon, fosse il punto da cui dovevo partire per accertare la causa delle condizioni patologiche e così ho messo insieme "osteo" con "patia" e ho ottenuto Osteopatia".
(Still, A.T. Autobiografia, 1897, p.98)

"L'osteopatia è la regola del movimento, della materia e dello spirito, dove la materia e lo spirito non possono manifestarsi senza il movimento; pertanto noi osteopati affermiamo che il movimento è l'espressione stessa della vita".
(Still, A.T., 1892)

martedì 17 dicembre 2013

Le Modalità di Resistenza al Contatto



La qualità del contatto dipende dal tipo e dall’entità dei meccanismi di difesa che mette in atto
la persona quando entra in relazione. In gestalt, tali meccanismi di difesa sono chiamati
modalità di resistenza al contatto. Tale modalità sono patologiche soltanto nel momento in cui
sono croniche e abituali e sono utilizzate per evitare il contatto. Esse sono:

  • la confluenza,
  • la proiezione,
  • la retroflessione,
  • l’introiezione
  • e la deflessione

Nella confluenza si vive un rapporto simbiotico con l’altro e non vi è reale percezione del confine Sé -altro da Sé: è una sorta di “simbiosi” dell’individuo con la comunità, madre, compagna. Segna l’appartenenza, la comunione. Il “ritiro” che segue, permette di riprendere possesso del “confine-contatto” e di ritrovare la singolarità e differenza. La confluenza si incontra anche in molte coppie, in cui ciascuno dei due partner non si autorizza alla minima attività autonoma, vissuta come tradimento. A livello sociale si assiste, analogamente, a tutte quelle adesioni secondo fanatismo e dogmatismo senza alcuna differenziazione autentica. Il terapeuta lavorerà sul territorio di ciascuno e sul confine al fine di autorizzare il soggetto confluente a emanciparsi senza il timore di essere abbandonato. La confluenza è, pertanto, patologica soltanto se la percezione di qualcosa non porta ad una discriminazione dei punti di diversità e di unicità che la distinguono. Le parti in precedenza separate vengono legate, ma senza la creazione di qualcosa di funzionale. Il terapeuta lavorerà sul territorio di ciascuno e sul confine al fine di autorizzare il soggetto confluente a emanciparsi senza il timore di essere abbandonato.

Nella proiezione attribuiamo all’altro aspetti, bisogni, emozioni, pensieri che invece appartengono a noi. E’ la tendenza ad attribuire all’ambiente la responsabilità di qualcosa che trae origine da sé, ad esempio il paranoico diffidente rimprovera a tutti coloro che lo circondano l’aggressività che lui stesso proietta sugli altri. Esiste, comunque, una proiezione “sana” che permette la comprensione degli altri. L’intervento terapeutico è facilitato dal
lavoro di gruppo mediante il quale avviene il confronto e la presa di coscienza: infatti, in esso si instaura un rapporto di autenticità e di solito il “proiettore”, si riconosce.

Nella retroflessione si rinuncia a qualsiasi tentativo di influenzare il nostro ambiente, diventando entità autosufficiente: io invado il mio stesso mondo interno (io mi amo troppo= retroflessione). Si rivolge a se stessi l’energia mobilitata, nel fare a sé ciò che vorremmo gli altri ci facessero.
La maggior parte degli impulsi retroflessi contiene aggressività e da ciò che ha origine il senso di colpa. la terapia, nella retroflessione, consisterà nell’incoraggiare qualsiasi espressione delle emozioni, amplificare quest’ultime, laddove è opportuno fino a una catarsi liberatoria, grazie anche ad oggetti transazionali, simbolici, rappresentando la persona odiata/amata.

Nell’introiezione l’individuo si sente soddisfatto di sé se fa coincidere i propri bisogni con quelli dell’altro o dell’ambiente. Attraverso le introiezioni, la cultura ci trasmette le norme, i codici di comportamento, il linguaggio. L’introiezione definisce dentro di noi i «devo» e i «non devo», che rendono accettabili o inaccettabili le nostre idee, i nostri valori, le nostre azioni.
La persona, quando usa l’introiezione, si adatta passivamente all’altro e alle situazioni che ne derivano. Utilizza molte energie per minimizzare le inevitabili differenze dall’altro e per spegnere l’aggressività che serve per discriminare ciò che va assimilato da ciò che va rifiutato.
Se gli altri agiscono in un modo contrastante dal suo, preferisce adeguarsi agli altri per non contrapporsi. Ad esempio, una persona può avere introiettato «devo essere responsabile nel mio lavoro». Qualora si trovasse oberato dal troppo lavoro, perché i colleghi hanno scaricato su di lui anche il proprio lavoro, e se la persona vive l’introiezione in modo rigido e non flessibile, si sentirà in dovere di farsi carico anche del lavoro che gli altri gli hanno passato, per adeguarsi alla sua forte norma interna. Il confine-contatto risulta facilmente invaso dagli introietti. Per rendere più funzionali il terapeuta è attento a sviluppare la consapevolezza del processo di scelta personale. In Gestalt, il terapeuta cerca esplicitamente di sviluppare l’autonomia del suo assistito, la sua responsabilità e assertività, e di smascherare, dunque, qualsiasi rifugio illusorio nell’introiezione.

Infine la deflessione, definita da Polster come: “manovra per distogliersi dal contatto diretto”, è un modo di togliere il calore al contatto attuale, per mezzo di circonlocuzioni, parlare troppo, ridere su ciò che si dice, non guardare direttamente la persona con cui si parla, essere astratti piuttosto che specifici ... parlare su piuttosto che parlare a, e banalizzare l’importanza
di ciò che si è appena detto”. In determinate situazioni, tale meccanismo potrebbe essere funzionale, quando abbiamo la consapevolezza che in uno specifico momento vogliamo evitare il contatto, perché abbiamo bisogno di tempo per noi, per riflettere o perché scegliamo consapevolmente di non entrare in contatto. Abbiamo la libertà delle nostre scelte. Ciò che conta per la Gestalt è esserne consapevoli perché solo così si è veramente liberi di scegliere.


www.psiconapoli.com
www.psicodangelo.it

mercoledì 3 luglio 2013

LA CAMPANIA MAGLIA NERA PER I CESAREI


In Italia vi è stato da sempre un abuso nel ricorso al taglio cesareo, con percentuali più volte messe in evidenza dagli organismi sanitari internazionali. I motivi sono molteplici:
Dalla impreparazione dei ginecologi che non si sentono di affrontare la difficoltà di un parto distocico (difficile), ed al primo problema decidono di intervenire, anche per prevenire eventuali risarcimenti in sede legale in caso di danni al feto, alla possibilità di programmare la nascita in un giorno feriale e durante le ore del mattino, per evitare imbarazzanti chiamate notturne o di domenica.
Vi è inoltre un’altra motivazione meramente economica: il taglio cesareo viene pagato di più dall’ASL dell’assistenza ad un parto spontaneo, il quale può impegnare il medico per molte ore, a differenza degli Stati Uniti, dove al sanitario vengono riconosciute le ore dedicate all’espletamento fisiologico del lieto evento.
La carenza di specialisti esperti nell’anestesia epidurale, la quale annulla completamente la sintomatologia dolorosa rendendo anacronistica la maledizione biblica “Partorirai con gran dolore” produce la richiesta da parte delle stesse donne del ricorso al cesareo, per non sentire nulla e risvegliarsi dolcemente con il bebè tra le braccia.
Una serie di casi difficili da estirpare che producono, sia in ambiente ospedaliero, sia nelle cliniche private casistiche superiori al 50% e come sempre Napoli e la Campania sono il fanalino di coda, con percentuali da brivido, perché vengono a sommarsi tutte le motivazioni precedentemente esposte. Difficile che nei tempi brevi possa cambiare qualcosa. La preparazione delle nuove leve è sempre più lacunosa, il numero di anestesisti è esiguo, la speculazione alligna, in sintonia con il clima di corruzione generale, che caratterizza la nostra bella quanto sfortunata regione.

giovedì 20 giugno 2013

Il ricordo: una forma di immortalità




Da sempre l’uomo, appena si è accorto di essere mortale, ha avuto timore di questo evento naturale ed ha cercato di porvi rimedio, creando le religioni, le quali ci ammoniscono di una nuova vita dopo la morte.
Lentamente l’illuminismo, l’esistenzialismo, la secolarizzazione hanno messo in crisi queste certezze e l’uomo si è trovato smarrito. Negli ultimi tempi la scienza, attraverso la clonazione ci ha fornito una nuova speranza di immortalità, ma siamo ancora lontani dal giorno in cui, in un nuovo corpo, geneticamente identico al nostro, potremo trasfondere le nostre passate esperienze, per cui al momento l’unica forma di immortalità surrogata, sulla quale possiamo fare affidamento è di sopravvivere nel ricordo di chi ci ha conosciuto e ci ha voluto bene.
A pochi è concesso di vivere a lungo nella memoria dei posteri, soltanto le opere d’arte hanno il privilegio di vivere in eterno o quanto meno fino a quando sarà vivo tra gli uomini l’amore per il bello e per il sublime.
Per i comuni mortali una sorta d’immortalità surrogata dura il tempo del ricordo che di lui hanno i suoi familiari: figli, nipoti, prima che cada l’oblio più assoluto e quella persona è come se non fosse mai esistita. Quando i suoi amici saranno tutti scomparsi e gli stessi discendenti non avranno più nozione, se non storica, della sua esistenza, quando dal computer scompariranno le sue foto, i suoi appunti e dalle pareti i suoi ritratti, non rimarrà più niente.
Eppure possiamo credere che le sue ceneri sparse al vento possano viaggiare senza sosta o la sua misera carcassa, seppellita nella nuda terra restituisca gli elementi della sua materialità e possa trasformarsi in un filo d’erba, in un fiore, in una pianta, sulle quali si poserà una farfalla o un uccello, in una mirabile simbiosi che abbraccia tutta la natura vivente, senza necessariamente dover credere alla reincarnazione.
Chi possiede dei bei ricordi può ritenersi fortunato ed è per questo che desta sgomento la notizia di nuovi farmaci in grado di cancellare la memoria, annullando la stessa identità umana, che vive alla luce delle esperienze passate. Ci sono sostanze come il propanololo che annullano anche le emozioni legate al ricordo, falsificando la percezione della nostra esistenza.
Dopo decenni di botulino e di silicone per cambiare il nostro aspetto fisico, ora le varie amnesine già in commercio mettono in primis in pericolo i nostri sogni, rivelatori dei nostri dolori e delle nostre passioni, i quali rispecchiano la tumultuosa complessità del nostro passato. Senza sogni in breve si impazzisce, bisogna perciò fermare queste molecole che minacciano di aggredire la nostra interiorità, la nostra stessa anima!

Marina della Ragione



Le mirabilie del regno vegetale




L’uomo nella sua smisurata superbia si è sempre considerato il re dell’universo, solo alcune antiche religioni più tolleranti, come l’induismo, hanno considerato il mondo animale degno di rispetto e considerazione, ma nessuno, neanche San Francesco, che parlava con gli uccelli e ammansiva i lupi ha glorificato il regno vegetale, nonostante costituisca il 99,5% degli esseri viventi, i quali sono in grado di vedere, ricordare, parlare tra loro e accudire ai propri figli.
La cosa più strabiliante è che già 500 milioni di anni fa abbiano trovato la più intelligente ed ecologica soluzione al problema energetico in quella fonte inesauribile, pulita e ubiquitaria, che noi solo da poco abbiamo cominciato a sfruttare, costituita dal sole.
Molte piante sono in grado di percepire la gravità, i campi elettromagnetici, l’umidità e ad analizzare numerosi stimoli chimici.
Se prendiamo in esame il tatto, vi è la zucca spinosa (sicyos angulatus) che ne possiede uno dieci volte più sensibile del nostro, mentre per la vista, pur prive di occhi, attraverso i recettori posti sulle foglie recepiscono stimoli visivi come la luce, della quale sanno discernere qualità e quantità.
Come pure sono in grado di scambiarsi messaggi riguardanti le condizioni dell’ambiente, le caratteristiche del suolo. La presenza di nemici.
sicyos angulatus

Studi recenti evidenziano una vita sociale complessa del tutto sovrapponibile a quella delle specie animali più evolute, nelle quali è sviluppato l’altruismo.
Se due piante vicine non sono nate dallo stesso seme, sviluppano le radici in modo da sottrarre al rivale più spazio possibile, viceversa lasciano alla altra sufficiente territorio per alimentarsi.
Lo stesso fenomeno in maniera macroscopica possiamo osservarlo in una foresta, dove al livello del suolo vi è il buio assoluto e prima che un seme caduto dal alto possa svilupparsi e raggiungere un’altezza tale da vedere la luce passano anni. Le piantine che sopravvivono è perché sono aiutate dai parenti adulti, i quali attraverso le loro radici cedono parte del nutrimento fino a quando non diventano autonome.
Un’altra proprietà che molte piante possiedono è la capacità di apprendere e ricordare.
Esiste una piantina: la mimosa pudica, la quale se toccata chiude le foglie, una reazione necessaria a spaventare gli insetti, ma che richiede energia; quando riconosce che uno stimolo non è pericoloso non chiude più le figlie.
Per quel che riguarda la memoria a breve termine, nella Venere acchiappamosche (dionaea muscipula) se un insetto tocca uno dei suoi sensori disposti sulle foglie, conserva l’informazione per 20-40 secondi e se un altro sensore viene toccato le sue fauci, scattano in un decimo di secondo per fa scattare la trappola.
Chi sa quante altre mirabile noi non conosciamo, perché abbiamo cognizione solo del 10% delle specie vegetali, mentre ogni giorno 150 specie si estinguono senza mai averle conosciute.
Sarebbe il caso di pensare ad una carta mondiale di tutela di questa ricchezza vegetale che altrimenti per colpa dell’uomo verrà distrutta.
Tiziana della Ragione
dionaea muscipula
mimosa pudica


martedì 9 aprile 2013

Alla ricerca scientifica dell'anima



di Tiziana della Ragione

"Nulla si crea e nulla si distrugge, " è uno dei paradigmi della scienza ed anche il nostro corpo dopo la morte, disintegrandosi, ritorna alla terra e ad essa restituisce le sostanze della sua materialità, ma i nostri pensieri, i nostri dolori, le speranze, la felicità, gli smarrimenti, le malinconie, i ricordi, i desideri, gli affetti, non vogliamo dire la nostra anima, dove finiscono?
Se nulla si distrugge, se la nostra misera carcassa continua ad esistere trasformandosi, perché' ciò che a noi appare immateriale dovrebbe scomparire?
Una moderna radio a transitor è in grado di captare un monologo recitato a New York o il ritmo frenetico di una danza da Rio de Janeiro. Se il cervello dell'uomo è la cosa più prodigiosa dell'universo perché' non possiamo credere che possa afferrare i nostri sentimenti che vagano nello spazio dopo la morte?
Un neonato potrebbe raccogliere il messaggio di uno sconosciuto che gli lascia in eredità le sue inquietudini, le sue gioie, i suoi dolori. Se milioni di uomini di antiche e sagge civiltà' credono a questa possibilità, anche noi possiamo crederlo, sperarlo, temerlo.
Sono pensieri che ci danno l'idea della nostra miseria e della nostra nobiltà. Sperduti nell'infinita immensità degli spazi, destinati a vivere un lampo a confronto dell'eternità, non riusciamo a credere che la nostra coscienza si sia accesa per caso a contemplare un universo ostile o, quanto meno, indifferente al nostro destino.
Il nostro corpo è stato da sempre considerato il contenitore di un'anima immortale ed immateriale e ciò ha comportato il fiorire di mitologie e religioni che tendono a dare una risposta confortante alla nostra paura della morte.
Oggi, in un mondo che rifiuta sempre più spiegazioni magiche e prelogiche, il primo a vacillare è il libero arbitrio: infatti, se è il nostro cervello a decidere sotto l'influsso di ormoni e mediatori chimici, l "Io", inteso come una sostanza immateriale, viene messo in crisi, giorno dopo giorno, dai progressi della neuroscienza.
Una teoria della coscienza che possa dare delle risposte in termini scientifici è il primo passo per identificare una formula che definisca l'anima.
Nel corso dei secoli si è cercato di definire in maniera convincente l'anima, ma nessuna teoria ci ha pienamente soddisfatto.
Fenomeni fisici come, vedere un film, ascoltare una canzone o leggere un libro si trasformano sorprendentemente, in esperienze soggettive: il ricordo di un amore tramontato, una vacanza esaltante o una malinconica reminiscenza. 
Nel seicento Cartesio, convinto sostenitore del dualismo (separazione tra il corpo e la mente) identificava nella ghiandola pineale (l'ipofisi) il tramite che metteva in contatto i due mondi. In quel fagiolo posto al centro della testa avveniva la magica trasformazione di un cornetto che ci rammentava l'allattamento al seno materno. La coscienza andava spiegata nell'ambito della fisiologia del cervello, un rudimentale interruttore dell'anima. 
Oggigiorno quando parliamo di coscienza, dobbiamo riferirci anche e soprattutto al concetto d'informazione. La somiglianza con un computer può apparire sorprendente, anche se la sintassi binaria dell'informatica – una lampadina è spenta o è accesa, è ben diversa dalla capacità di discernimento del cervello umano, in grado di apprezzare diversi trilioni di altri stati e di combinarli in modo da avere un valore informativo infinitamente maggiore. Se osserviamo una palla rossa, cogliamo assieme la forma e il colore; allo stesso modo, quando ascoltiamo una frase, il tono e il timbro della voce ci aiutano a percepirne il significato. Kant definiva questa caratteristica "appercezione trascendentale".
I computer funzionano diversamente: ogni singolo pixel (unità d'informazione) non ha coscienza degli altri; è alla luce di questi due assiomi che si può tentare di impostare un'equazione in grado di calcolare il tasso di coscienza di un organismo espresso come una lettera greca, seguita da un numero, che quantifichi l'abilità di discriminazione e il livello d'integrazione delle informazioni. Cartesio era rimasto ancorato alla distinzione tra Res Cogitans e Res Extensa.
Hume, come tanti Neuroscienziati contemporanei, intendeva la coscienza come la semplice somma di tante coscienze generate dall'esperienza.
Kant era andato avanti nel ragionamento ma senza pensare a una formula matematica. Oggi la scommessa vincente è quella di tenere conto che la coscienza è qualcosa di più della semplice somma delle sue parti e può essere quantificata solo attraverso un'equazione. Da qui impostare la formula dell'anima è il passo successivo, difficile, ambizioso, ma prima o poi realizzabile.

sabato 6 aprile 2013

Metodiche farmacologiche per provocare l’I.V.G.



varie volte ho accennato ad una mia sperimentazione di una metodica farmacologica per indurre l’aborto, che attuai quando fui riammesso in servizio nei primi anni Novanta.
Anche in questo caso penso possa essere utile riferirsi ad uno scritto e precisamente ad uno stralcio da una mia relazione presentata nella tavola rotonda “L’embrione tra etica e biologia” tenutasi il 17 gennaio 2001 all’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici e consultabile nella sua integrità su internet digitandone il titolo.
Metodiche farmacologiche per provocare l’I.V.G.
…La storia che voglio ora brevemente raccontarvi è una classica storia all’italiana. Essa è ambientata agli inizi degli anni Novanta in un piccolo ospedale di provincia, a Cava de’ Tirreni a pochi chilometri da Salerno, dove mi trovavo a lavorare in condizioni ambientali ostili per portare avanti la battaglia per l’attuazione della legge 194, in una struttura con un primario obiettore, un direttore sanitario piratesco, un presidente di U.S.L. cattolico praticante, impenitente baciapile e tutto il personale parasanitario che si rifiutava di collaborare; oltre alle assistenti sociali del consultorio che sottoponevano le donne a defatiganti indagini inquisitorie.
La divisione di ginecologia dell’ospedale di Cava de’ Tirreni fu la prima in Italia, dal 1987, ad adoperare il Cervidil, una prostaglandina somministrabile per via vaginale, allo scopo di facilitare la dilatazione dell’utero. Le prostaglandine sono state per anni adoperate per indurre l’aborto; è stata sperimentata la somministrazione per via intramuscolare, endovenosa, extra amniotica, intra amniotica, ma gli effetti collaterali per via sistemica erano molto severi, per cui la metodica era stata quasi abbandonata, fino a quando, attraverso la via endovaginale, si è riusciti ad ottenere un’ottima efficacia associata ad una notevole riduzione degli effetti collaterali.
Saltuariamente il Cervidil era da noi adoperato nelle nullipare all’11°-12° settimana di gestazione per rammollire e favorire la dilatazione del canale cervicale, prima di procedere allo svuotamento uterino. La candeletta veniva introdotta profondamente in vagina circa tre ore prima dell’intervento e talune volte capitava che, per impegni urgenti di reparto, l’esecuzione dell’I.V.G. venisse rinviata di alcune ore e spesso, quando si rivisitava la donna, ci si accorgeva che l’aborto si era espletato in maniera completa, come confermava l’indagine ecografia. Da queste casuali osservazioni è balenata l’idea di poter ottenere l’I.V.G. senza dover ricorrere a tecniche chirurgiche.
Abbiamo consultato la letteratura scientifica sull’argomento ed abbiamo constatato che il Cervidil era stato adoperato all’estero da solo per indurre l’aborto, con percentuali di successo decisamente interessanti e con degli effetti collaterali modesti.
Abbiamo intuitivamente pensato di associare alle prostaglandine un diverso contratturante uterino, l’ormone ossitocico (Syntocinon), usato da decenni nel post partum, scoprendo che le due sostanze, a differenza di quello che si credeva prima, possedevano una sinergia notevole, migliorando considerevolmente la percentuale di successo che nella nostra sperimentazione fu del 96%, un  risultato più lusinghiero della stessa pillola francese.
Appena cominciammo la sperimentazione ottenemmo un notevole gradimento soprattutto da parte di quelle pazienti che avevano avuto  precedenti esperienze con le tecniche tradizionali.
Pubblicammo i risultati delle nostre sperimentazioni su riviste scientifiche (Contraccezione, fertilità, sessualità, vol. 18, n. 4, luglio 1991; idem, vol. 19, n. 3, maggio 1992) e ne demmo notizia  nel corso di convegni internazionali. (Vedi atti dell’International Congress of Obstetrix and Gynecology, Isola d’Elba, giugno 1992).
I consultori dei comuni limitrofi cominciarono ad inviarci pazienti in numero sempre maggiore, ma l’atmosfera di ostilità intorno al nostro lavoro cresceva giorno dopo giorno, fino a quando della nuova metodica diedero notizia, prima un quotidiano (Il Golfo, 5 febbraio 1992) e poi alcune televisioni locali.
La reazione da parte delle istituzioni non si fece attendere: un’interrogazione parlamentare da parte dell’onorevole Parlato al ministro della Sanità ed a quello di Grazia e Giustizia e prontamente una giovane magistrata della Procura di Salerno, per intimidirci, fa sequestrare dai carabinieri le cartelle cliniche, con la scusa di dover approfondire la questione, approfondimento che dopo circa otto anni deve ancora concludersi!!!
L’ospedale non acquista più le candelette di Cervidil e continuiamo ancora per qualche mese soltanto grazie alla casa farmaceutica che ci fornisce gratuitamente il prodotto. Infine, con il mio improvviso licenziamento, la sperimentazione si ferma ed un velo di silenzio cala su tutta la vicenda, senza che alcun organo di informazione si interessi più di questa metodica farmacologia, che avrebbe permesso alle donne di risolvere in prima persona il dramma dell’aborto.
Anche il gravoso problema dell’obiezione di coscienza tra il personale medico e parasanitario, che assilla e paralizza tanti ospedali, sarebbe stato alleviato da tale metodica, perché è ipotizzabile che le donne possano da sole introdursi in vagina le candelette di prostaglandina e finalmente dell’aborto non dovrebbero più interessarsi legislatori e preti, medici ed assistenti sociali, facendo sì che questa scelta, difficile e quasi sempre dolorosa, riguardi unicamente la donna e la sua coscienza. E con l’auspicio, in attesa della pillola francese, che questa semplice metodica di induzione farmacologia possa essere proposta a tutte le donne che desiderano sottoporsi all’I.V.G, concludo la mia relazione, ringraziando vivamente l’Istituto italiano per gli Studi filosofici che ci ha permesso di poter discutere oggi, pubblicamente, su di un argomento di così scottante attualità, che rappresenta per me oggetto di studio e riflessione da quasi trenta  anni e principalmente i gentili partecipanti che hanno avuto la pazienza di ascoltare fino al termine la mia relazione.

giovedì 16 agosto 2012

LA FECONDAZIONE IN VITRO



Quella dei nostri figli, al massimo quella dei nostri nipoti, sarà l’ultima generazione, nel mondo occidentale, che partorirà secondo i dettami della Bibbia. Le successive non dovranno più sobbarcarsi ai disagi della gestazione ed ai pericoli del parto, perché nei prossimi anni le tecniche di fecondazione assistita, nate per risolvere l’infertilità, avranno trovato una soluzione a tutti i problemi legati allo sviluppo completo dell’embrione in un utero artificiale.
Nelle more l’ingegneria genetica saprà debellare la maggior parte delle malattie ereditarie e sarà inoltre possibile scegliere, oltre al sesso, anche i principali caratteri individuali: colore degli occhi e dei capelli, costituzione fisica e, probabilmente, anche significativi tratti della personalità ed il quoziente intellettivo. I genitori potranno avere il figlio che più desiderano, sarà semplice come andare in un negozio e comprare il tipo di bambola che il bambino desidera. Sarà certo questione di disponibilità finanziaria, ma i risultati non saranno meno sconvolgenti. 
La pratica del sesso diverrà facoltativa ed interesserà i pochi pervicaci appassionati, che non vorranno usufruire delle scoperte della neuro sessuologia, la quale, una volta identificate le aree cerebrali deputate all’orgasmo, saprà sollecitarle a piacimento, attraverso stimoli virtuali o farmacologici.
“Se nulla è certo, molto è possibile, qualcosa è probabile, poco è improbabile”. Una massima di grande saggezza, ma che trova una ridotta applicazione nel rapido delinearsi dello scenario prossimo venturo, nell’ipotizzare il quale ben poche sono le variabili che possono trasformare il risultato finale.
Una legislazione restrittiva, anche se adottata da molti Stati, non potrà fermare il progresso, al massimo potrà accentuare le disparità economiche, permettendo solo ai più ricchi di accedere alle nuove scoperte. I divieti infatti non hanno alcuna efficacia su quelle pratiche scientifiche che non necessitano di una tecnologia particolarmente sofisticata.
Un laboratorio per la fecondazione assistita non richiede grandi attrezzature, né materiali difficili da procurarsi e, tanto meno, un know how particolarmente ostico da apprendere e da trasmettere.
Il quadro futuribile che abbiamo delineato non prevede salti di conoscenza significativi, ma semplicemente il normale sviluppo della scienza, che si può ipotizzare allo stato attuale degli studi.
Alcuni traguardi come ad esempio la determinazione del sesso della propria prole è già realizzabile, anche se con tecniche da perfezionare e già sta creando pericolosi squilibri nella composizione di quelle popolazioni, come quella cinese, che da alcuni anni ne fanno ricorso.
In Cina infatti è permesso avere un solo figlio, per cui, per ataviche motivazioni, sia economiche che culturali, quando una donna è all’inizio della gravidanza, spesso chiede di potersi sottoporre ad indagini per la determinazione del sesso del nascituro, oggi possibili già dalla settima, ottava settimana di gestazione ed in caso di un embrione di sesso femminile decidersi a ricorrere all’aborto volontario, che nella Repubblica Popolare cinese è non solo permesso, ma anche incoraggiato.
Quando si adoperano le tecniche di fecondazione assistita è sempre possibile scegliere il sesso del nascituro e, quando questa pratica diverrà molto diffusa, gli effetti collaterali… devastanti si vedranno dopo una sola generazione.
Il genere umano presenta infatti, per il perpetuarsi di un meccanismo di tipo omeostatico molto sofisticato e solo in parte conosciuto, una percentuale costante del 50% di maschi e di femmine. Questo postulato biologico è alla base della monogamia della nostra specie. A lungo nei secoli scorsi si è data la colpa alla donna quando non generava un figlio maschio, poi si è creduto che era l’uomo attraverso i suoi spermatozoi a stabilire il sesso della prole; ma erano scoperte fallaci: a determinare una eguale e costante percentuale tra i due sessi presiede un mirabile meccanismo ancora del tutto sconosciuto.
La presenza in una popolazione, come ad esempio quella italiana, di un maggior numero di donne è legato unicamente alla maggior durata della vita femminile, caratteristica costante in tutto il mondo. Ma ha ben poca importanza se esaminando le classi di età più avanzate (oltre i 60-70 anni) troviamo più donne che uomini, l’importanza è che nell’età feconda vi sia un perfetto equilibrio tra i due sessi.
Questa “armonia percentuale”, necessaria per il quieto vivere delle famiglie, della società e degli Stati è tenuta sotto controllo in maniera a dir poco prodigiosa: infatti in periodi post bellici, quando i maschi diminuiscono, per una generazione nascono meno femmine.
Una scoperta recente è stata l’osservazione che gli embrioni abortiti spontaneamente, nelle prime fasi della gravidanza, sono più frequentemente di sesso maschile, di conseguenza il rispetto della percentuale paritaria non avviene al momento della fecondazione, quando contiamo 170 maschi per 100 femmine, bensì nel momento più significativo, il periodo di maggiore fertilità, tra i 20 ed i 35 anni.
La prospettiva di poter a breve scegliere il sesso dei propri figli deve farci riflettere sulla circostanza che la scienza, con le sue incessanti scoperte, rende le nostre scelte sempre più difficili e che le chiavi del nostro destino sono in gran parte nelle nostre mani, se sapremo valutare correttamente i quotidiani cambiamenti provocati dal continuo progredire delle conoscenze.
Il poter leggere, grazie alle continue scoperte scientifiche, nel gran “libro” della natura le tracce inequivocabili di un ordine deve invitarci ad una profonda riflessione e la stupefacente maniera con la quale la natura programma il rapporto percentuale tra i sessi ne rappresenta uno degli infiniti esempi.
Il Newton nel porre termine al suo “Philosophiae Naturalis Principia Matematica”, una tra le più importanti opere dello scibile umano, non ritenne fuori luogo dissertare sugli attributi di Dio. Sia perciò permesso, ad un laico inveterato, per alcuni in via di conversione, invitare tutti a meditare sulla certezza che tali delicati meccanismi è assolutamente improbabile che siano sorti per combinazione!

giovedì 5 aprile 2012

Primavera tempo di diete


16/4/2011

Con la primavera si scatena per signore e signorine la corsa alla dieta, dopo le deludenti prove costume effettuate davanti allo specchio. Anche gli uomini oramai da anni sono divenuti narcisi e cercano di essere in forma per l’estate, cercando di abbozzare in pochi mesi un fisico da palestrato.
Oltre oceano impazza la dieta di Dukan, spiegata in un libro tradotto in 15 lingue e venduto in milioni di copie in 37 nazioni. Tra i fan personaggi famosi: attrici e conduttori televisivi, alcuni addirittura tengono in rete un blog per aggiornare il pubblico su come va la loro lotta contro il peso.
La filosofia alla base della formula Dukan è che non è necessario rinunciare al cibo, purché non si accoppino alimenti incompatibili. Si può mangiare una sola pietanza alla volta, scelta da un elenco di oltre cento alimenti, che includono anche vino e dessert ed ogni giorno bisogna camminare a passo svelto per almeno 20 minuti.
In Italia invece va di moda un’idea di un medico romano, basata sull’introduzione di un sondino nello stomaco per dieci giorni, il quale inietta poche decine di grammi di proteine al dì e permette di perdere ad ogni applicazione non meno di sei chili.
Capita sempre più spesso di incontrare per la strada questi strani personaggi con un sondino che fuoriesce dal naso per perdersi in un piccolo zainetto. Hanno tutti lo sguardo triste e rassegnato e se ci avviciniamo un alito pestifero da annichilire Batman, prodotto dall’eccesso di chetoni che si sviluppa nello stomaco.
Naturalmente come tutte le diete che esaltano il digiuno il peso perduto si recupera rapidamente con gli interessi, a parte i rischi non indifferenti per la salute, soprattutto se si tratta di pazienti diabetici o ipertesi.
Purtroppo se non vi è il consiglio del medico ed un appoggio psicologico tutte le diete sono destinate all’insuccesso ed alla frustrazione, che vede assieme piccoli e grandi obesi, tutti peccatori di gola, dai depravati dell’abbacchio ai compulsivi di pizza e spaghetti.
Voglio anche io consigliarvi una dieta, sperimentata su centinaia di pazienti, la quale non richiede bilance, né restrizioni quantitative e si basa sull’assunzione quotidiana di legumi(fagioli, piselli, ceci, lenticchie, fave) in quantità industriale accompagnati da verdura ed ortaggi a piacere ed un frutto ad ora di pranzo, mentre a cena pesce, quanto se ne desidera o carne, preferibilmente bianca, nell’ordine di 200 – 250 grammi, insalata a volontà e di nuovo un frutto. La mattina due colazioni alle 8 ed alle 11, composte da un bicchiere di latte o un frutto o uno yoghurt. Durante la giornata non più di 50 grammi di pane ed un cucchiaino di olio d’oliva da utilizzare dove si preferisce.
Raggiunto il peso ideale(in genere in tre, sei mesi) bisogna proseguire la dieta per un trimestre, per poter stabilizzare il risultato ottenuto(il nostro cervello dopo tale periodo stabilisce che quello è il nostro peso), poi gradualmente variare l’alimentazione, introducendo una maggiore quota di glicidi.
Naturalmente vietati gli alcolici ed i dolci di qualunque genere.
I risultati vi assicuro saranno strepitosi, attendo impaziente vostre notizie.

Il dolore è necessario?


30/3/2011

Oggi sono dieci anni dalla data in cui presso l’Istituto degli studi filosofici di Napoli organizzai, con la partecipazione di filosofi, teologi, medici, letterati e psicanalisti un convegno su un tema che prima o poi tocca ogni essere umano: il dolore. 
L’argomento purtroppo conserva ancora immutata la sua attualità ed essendo la mia relazione oramai perduta tra le carte congressuali voglio riproporla ai lettori.

Dal palcoscenico dei sensi al teatro delle emozioni
Gentili signore e signori,
il convegno di questo pomeriggio: Perché il dolore? Una risposta tra scienza, fede e filosofia, tratta un argomento che riguarda tutti i presenti indistintamente, perché il dolore è un penoso fardello che accompagna la vita di ognuno di noi, dal primo pianto del bambino appena venuto alla luce all’agonia del vecchio che muore tra strazi crudeli e lunghi patimenti.
Il dolore di cui ci occuperemo oggi è il dolore fisico, mentre lasceremo fuori dalle nostre argomentazioni quella particolare forma di cordoglio, carica di sentimenti tetri ed angoscianti, che potremmo definire dolore morale o psichico.
Il dolore veglia come un oscuro fantasma su ogni passo della nostra esistenza, sempre pronto a colpire, inafferrabile come l’aria, ubiquitario quanto implacabile; esso entra all’improvviso prepotentemente nella nostra vita, spaventando i deboli ed aizzando ad inutili ed impari lotte i forti. 
Problema ancora insoluto per lo scienziato, quesito tormentoso per il filosofo, consigliere mendace di pietà per il credente. 
Il fisiologo ne cerca le origini, il medico ne placa i sintomi, il giurista ed il teologo lo erigono a fustigatore della colpa, il filosofo lo insegue senza mai raggiungerlo: tutti lo temono e cercano di combatterlo o di esorcizzarlo.
Oggi tutti insieme proveremo a meditare sul perché della sua esistenza e cercheremo una risposta con l’aiuto di un prestigioso parterre di relatori, dal medico al filosofo, dall’antropologo al teologo, dallo psicanalista al letterato, i quali ci condurranno con le loro relazioni tra le sabbie mobili di una problematica aperta alle più disparate interpretazioni.
Il dolore è un nemico invisibile che ci sovrasta e spesso ci devasta, senza che noi riusciamo nemmeno a descriverlo adeguatamente, infatti sulla sofferenza fisica sono state coniate nei secoli centinaia se non migliaia di definizioni, nessuna delle quali ci soddisfa completamente. 
Anche senza definire compiutamente il dolore, le sue stesse caratteristiche e sfumature hanno avuto più codificazioni nel corso dei secoli, Hahnemann, uno studioso di algologia, ne riuscì a distinguere ben 73 specie. 
Esso può essere infatti: “Bruciante, contundente, conquassante, corrosivo, gravativo, lacerante, lancinante, pungente, pulsante, pruriginoso, strappante, terebrante, ecc.”, ma considerare, sic et sempliciter, le sensazioni dolorose come un treno d’impulsi lungo le vie nervose, transcodificate qua e là in mediatori chimici sarebbe troppo riduttivo, perché la percezione del dolore è squisitamente personale e la sua esperienza deve fare i conti non solo con la biologia, ma anche e soprattutto con la cultura.
Le ricerche antropologiche hanno dimostrato che sono diverse le risposte agli stessi stimoli da parte di popolazioni culturalmente lontane, come pure bisogna meditare sulla circostanza che il dolore acuto, nelle sue fasi più esacerbanti, sfugge ad ogni definizione e ad una accurata descrizione, perché ci fa precipitare in un abisso, in uno stato antecedente al linguaggio, degradandoci alle urla e ai gemiti che un essere umano emette in maniera disarticolata prima di apprendere le stesse parole e facendoci retrocedere allo stato di primati appena scesi dagli alberi nel lontano Pleistocene.
Il laico oggi riconosce il dolore come male e cerca di evitarlo, nello stesso tempo abbassa vistosamente e senza accorgersene la soglia di percezione, in una società in cui l’edonismo è regola di vita. 
L’uomo della pietra o il gladiatore tolleravano meglio di noi le sofferenze, perché per loro il dolore non era un vero nemico.
Anche oggi per il credente il dolore può avere una valenza positiva, infatti in un recente convegno, tenutosi all’Università Lateranense, un cardinale ha candidamente dichiarato:” La morte è la fine di tutto, ma è anche l’inizio di una dimensione nuova, nella cui prospettiva anche la sofferenza ha un senso”. 
Lo stesso senso che potevano avere il cilicio e l’autoflagellazione? 
Chi ha il conforto della fede può accontentarsi di una risposta del genere, ma per il non credente è triste la constatazione che il dolore fisico più aggressivo spoglia le persone da quella dignità che tutti diciamo di voler tutelare e ci abbassa allo stadio di animali feriti nel selvaggio stato di natura.
Alla domanda che questo pomeriggio ci poniamo, tutte le filosofie e le religioni hanno tentato in passato di abbozzare una risposta, cercando ora in terra ora in cielo le ragioni del dolore. 
Per i credenti è un castigo di Dio, un pietoso avvertimento della Provvidenza o un motivo di salvezza, per i pessimisti è la prova eloquente che la natura è governata da un principio malefico, che trasforma lo stesso piacere unicamente in una momentanea cessazione del dolore. 
Altri che a lungo hanno discettato sull’argomento, senza conoscere nulla del nostro sistema nervoso centrale, pensano che le frontiere del dolore si sovrappongano a quelle della sensibilità e che le sofferenze siano più pregnanti quanto più la sensibilità sia intensa, mentre, viceversa, la percezione sia più modesta quanto più ci allontaniamo dall’uomo per scendere agli antropomorfi, ai quadrupedi, agli uccelli, ai rettili, ai pesci. 
Ed a questa legge attribuiscono un valore cosmico, ritenendo che se in altri mondi vivessero creature dotate di sensibilità, anche queste inevitabilmente sarebbero costrette al patimento.
A conclusione del dibattito vogliamo fissare alcuni punti fermi ed avanzare alcune ipotesi alle seguenti angosciose domande: può essere il dolore un errore della natura e può la natura sbagliare? 
La sua essenza ed il suo significato ci sfuggiranno sempre, come tutte le cause prime o riusciremo a darci una risposta accettabile?
Da quando l’uomo ha individuato nel dolore un suo acerrimo nemico la medicina ha cominciato ad ingaggiare con esso un’implacabile battaglia, che dovrà cessare solo con una completa vittoria, quando la sofferenza sarà cancellata per sempre e relegata come mostruosità nei libri di storia della medicina. 
In attesa di questo fatidico giorno vorrei proporre alla meditazione generale non una teoria, ma una semplice ipotesi di lavoro.
Il dolore acuto di una scottatura o di una puntura, il quale bruscamente ci segnala un pericolo, facendoci scostare, possiede una finalità facilmente intuibile ed un’utilità altrettanto evidente, che può trovarci tutti d’accordo. 
Infatti i pochi soggetti, ne sono stati segnalati fin ora un centinaio di casi, che per un’anomalia genetica sono affetti da un’insensibilità congenita al dolore, incorrono in una interminabile serie di infortuni e presentano costantemente il corpo pieno di lividi e cicatrici.
Viceversa il dolore esacerbante ed apparentemente afinalistico che accompagna le grandi patologie croniche, in primis i tumori, non sembra essere di alcuna utilità, particolarmente quando, dopo anni di lunghe sofferenze, termina con la morte del paziente. 
Questo dolore costante mette però in moto con perentorietà tutta una serie di meccanismi difensivi, che solo in parte conosciamo, che vanno da un’attivazione del sistema immunitario ad un risveglio del sistema neuro endocrino, a chissà quanti altri sofisticati meccanismi dei quali nulla sappiamo.
La sirena potente del dolore, come un urlo in uno stadio che, sovrastando le altre voci, voglia raggiungere un ascoltatore lontano, rappresenta un comandamento che fa da segnale a numerosi meccanismi difensivi. 
Nello stesso tempo entrano in circolo le endorfine ed altri mediatori chimici che contrastano la sensazione dolorosa, anche se in maniera palesemente insufficiente, forse perché la soglia di percezione del dolore si è abbassata, per motivi che possiamo solo ipotizzare: sovrastrutture culturali o momentanei assestamenti evolutivi.
Con l’auspicio che le parole dette oggi siano di stimolo per tutti a meditare sull’argomento, ringrazio l’Istituto Italiano per gli studi filosofici, i relatori ed il gentile pubblico che ha avuto la pazienza di ascoltarci fino alla fine.

domenica 1 aprile 2012

Parto naturale addio

5/9/2010

I recenti episodi di malasanità con botte da orbi tra ginecologi in sala parto ha scoperchiato uno scandalo di ben più vaste proporzioni: l’abuso nel ricorso al taglio cesareo, che in alcune regioni meridionali ha reso il parto naturale una vera rarità, con enorme aumento delle spese di degenza.
I motivi per cui in Italia, al posto del 15% consigliato dall’Organizzazione mondiale della sanità, si supera abbondantemente il 50% sono molteplici e vanno dall’esplicita richiesta della paziente, la quale vuole sottrarsi alla maledizione biblica della sofferenza, alla volontà del medico di sottrarsi ad eventuali richieste di risarcimento in caso di complicanze, ma la verità è la diffusa impreparazione dei sanitari, spaventati anche dal più semplice dei parti in presentazione podalica(quando vengono espulse per prime le natiche).
Da noi nelle scuole di specializzazione da tempo non si impara più a prendere un parto spontaneo ed a far fronte alle eventuali difficoltà,  per cui, dopo una generazione di ginecologi impreparati, è impossibile porre rimedio.
Si potrebbe arginare il fenomeno diffondendo il parto indolore, ma mancano gli anestesisti esperti e ben pochi ospedali offrono il servizio, spesso a pagamento, mentre all’estero è routine anche nelle piccole strutture sanitarie.