venerdì 1 febbraio 2013

IL LOTTO. IL SOGNO DEI POVERI




Un po’ di storia del popolare gioco, speranza di tanti!


Il gioco del lotto è stato sempre percepito come un fenomeno precipuamente napoletano, anche se all'ombra del Vesuvio è comparso solo nel 1682, mentre in Francia si giocava già dal 1539 ed in Italia, a Venezia, dal 1590.
Questa considerazione ha dato luogo ad uno degli aspetti più caratterizzanti dell’identità, amplificato da film come “Totò e Peppino divisi a Berlino” (1961), dove la zia monaca suggeriva i numeri da giocare, mentre un giudice per accertarsi che Antonio La Puzza fosse veramente napoletano, lo interroga sulla Smorfia. 21! “Allora si dice la verità”.
A lungo il lotto è stato considerato dagli intellettuali, e tra questi Matilde Serao, causa della rovina economica della città, per la grande sproporzione tra il premio sperato e la probabilità di ottenerlo ed anche la chiesa, pur considerandolo un gioco peccaminoso, lo tollerava per incrementare le entrate dell’erario. L’ultimo tentativo di abolirlo, subito vanificato, fu di Giuseppe Garibaldi, ma le ragioni dello Stato prevalsero sui motivi di ordine etico.
La cerimonia dell’estrazione avveniva ogni sabato nel salone di Castel Capuano, nel Palazzo della Vicaria, con grande concorso di popolo, che raggiungeva il più intenso coinvolgimento emotivo ed erano presenti anche molte delle orfane interessate alle quote destinate a costituire la dote per potersi sposare.
I numeri vengono estratti da un bambino, mentre l’uomo che siede su uno sgabello alle spalle del Presidente è il capo lazzarone, una specie di tribuno del popolo.
Non vi è napoletano che non creda ciecamente che tutto ciò che accade intorno a noi è trasformabile in un numero che bisogna semplicemente interpretare aiutandoci con la Smorfia, a lungo il libro più venduto dopo la Bibbia.
Nella più alchemica città del mondo si scommette in ogni dove, senza più doversi recare al banco lotto. La fortuna si può acquistare dal tabaccaio o al bar, si può sperare in una piccola vincita o in una grande duratura fortuna, senza necessità di dover ricorrere agli interpreti dei numeri, i cosiddetti assistiti ed i veri appassionati giocano piccole cifre.
Il giocatore convulsivo è attirato oggi dai Gratta e Vinci e dalle slot machine e per questa categoria possiamo applicare la mordace definizione di un cancro che rode le famiglie e vive alle spalle di coloro che lo venerano.
Gli scrittori dell’Ottocento ci hanno tramandato vari episodi esilaranti, come quello di frate Stefano, il quale, rubate le elemosine ed impegnati gli arredi sacri, sognava già di diventare un nobile, acquistare un feudo e di poter godere delle grazie delle più belle popolane.
Per giocare i numeri si ispira al Crocifisso, il quale gli gioca un brutto tiro, perché non vince alcunché e per ripicca decide di farsi musulmano e, catturato dai Cristiani, morirà da turco, senza dare ascolto alle parole del prete che tentava di convertirlo.
Il sovramondo magico religioso che circonda il lotto è costituito da alcuni personaggi che vengono considerati intermediari tra presente e futuro, per cui sono in grado di fornire i numeri giusti da giocare. In questa categoria sono inclusi alcuni santi come San Pantaleone, considerato il santo protettore dei giocatori e si racconta che vi fosse una statua cava dietro, dove recitando novene ed invocazioni si potevano trovare indicazioni utili. Se la richiedente era una donna si richiedeva che fosse vergine. “Per la vostra santità, per la mia verginità, datemi tre numeri per carità”.
Altri intermediari che vengono invocati sono le anime del Purgatorio, perché per la loro condizione di essere sospese tra l’aldilà e l’aldiqua sono più vicine al futuro che al passato.
A Napoli esiste un culto specifico per le anime del Purgatorio, le quali comunicavano frequentemente attraverso i sogni o durante dei riti collettivi che si tenevano di venerdì. Altri personaggi sono il monaciello ed i cosiddetti assistiti che si ritiene comunichino con gli spiriti. Un discorso a parte va fatto per i monaci, tra cui famoso era ‘O monaco ‘e San Marco, il quale per ispirarsi toccava le donne con una particolare predilezione per le parti intime, pratica che venne interrotta quando un marito sospettoso si travestì da donna ed allorché la mano sacrilega trovò il membro maschile ricevette un sacco di legnate.
L’ultima categoria è costituita dai femminielli, i quali, essendo parte di una marginalità, si pensava possedessero poteri magici. Ed ancora oggi in occasione delle festività natalizie si organizzano le tombolate dei femminielli. Irriverente, rumorosa, coinvolgente ed allusiva dà luogo a storie piccanti, mentre il travestito estrae il numero dal panariello e lo collega alle più sguaiate definizioni della Smorfia.

sabato 26 gennaio 2013

La guerriglia di Capodanno




Ancora un tragico Capodanno, ancora morti e feriti per botti esplosi senza controllo e fuochi acquistati sulle bancarelle abusive. Il bilancio complessivo delle persone coinvolte negli incidenti verificatisi nella notte di San Silvestro è di due morti e 361 feriti. Una vera notte di barbarie che ha attraversato l’Italia dal Sud al Nord e che ha trovato come sempre il suo epicentro a Napoli ed in Campania, dove da anni si svolge una vera e propria guerriglia e dove si sono verificati i due decessi: uno a Caserta per colpa di una miccia troppo corta e difettosa di un missile che ha frantumato il cranio del proprietario di un noto ristorante ed a Benevento dove un razzo ha decapitato un imprenditore dopo avergli devastato il volto.
Anche questa volta si è perso il conto di dita e mani amputate, accecamenti, ustioni gravissime. I botti diventano di anno in anno sempre più potenti e pericolosi, dando luogo a danni gravissimi e invalidità permanenti.
Napoli è affetta da un’assurda malattia, la cui febbre sale con l’implacabile scandire delle lance verso la mezzanotte.
Non sono mai serviti gli inviti alla prudenza, nemmeno quelli arrivati da testimonial amati e prestigiosi. Subiamo senza reagire il fascino perverso di questa tradizione arcaica. Attraverso i botti si esorcizza la paura e si grida forte la rabbia. Più c’è crisi economica e più si spara, meno soldi si hanno più si spende per girandole e botte a muro. In una gara insensata con i vicini di casa, giurando di riscattarsi l’anno successivo, se qualche condomino ha sparato più forte di tutti.
Comprare prodotti illegali è semplicissimo; un ragazzino conosce le dinamiche del mercato meglio di un finanziere. Ciò che è vietato è facilissimo da comprare.
E da questa strage non sono immuni gli animali domestici, cani e gatti, compagni fedeli della nostra vita quotidiana, per i quali questa assordante follia collettiva si traduce in una tortura incomprensibie che porta al terrore estremo, causa panico anche in esemplari di grande coraggio, come cani lupo, mastini e rottweiller.
Questo Capodanno secondo i dati delle associazioni animaliste le vittime sono state più di 900: bruciate, investite dai razzi, ma anche morte di crepacuore per la paura.





Sarebbe stato più opportuno devolvere tutti questi soldi in beneficenza. C’è un mondo che soffre in silenzio e dignità: aiutiamo costoro, anziché sparare in aria in maniera inconsulta. Perché in futuro questo auspicio possa avverarsi sarebbe necessario ed improcrastinabile che i botti venissero puniti con pene molto severe sia per chi li fabbrica che per chi li acquista. Ci vorrebbe una sorta di tolleranza zero in primo luogo contro gli abusivi che bisogna smettere di considerare dei poveri cristi che si guadagnano la giornata e poi punendo anche chi li detiene per adoperarli, equiparando i petardi che contengono un certo quantitativo di polvere da sparo in tutto e per tutto al possesso di esplosivi e trattati anche dal  punto di vista come tali.
Le bancarelle per la vendita dei botti sono spuntate come funghi un po’ dovunque in città e in provincia: a Secondigliano, Pianura, Ponticelli, Piazza Mercato, Fuorigrotta, con la camorra che gestisce la distribuzione della materia prima proveniente dalla Cina ormai per il 90% del mercato.
Buona parte della produzione è appannaggio dei laboratori privati che si contano a decine nelle zone periferiche della Campania. Sono capannoni o sottoscala nei quali vengono mescolati ed assemblati polvere nera, nitrato, potassio e zolfo. Il risultato sono botti micidiali, venduti con nomi suggestivi o folkloristici che nell’ultimo decennio ha provocato una dozzina di morti ed oltre 4000 feriti.
Vi sono almeno 50 aziende fuorilegge, ma anche chi dovrebbe essere in regola non lo è perché il personale lavora in nero come nel caso del fuochista morto ad Angri poco prima di Natale.
Una situazione di precariato strutturale che finisce per portare altri soldi nelle casse dei clan ai quali produttori pagano lucrose tangenti nonostante le forze dell’ordine abbiano intensificato i loro sforzi pe reprimere il fenomeno. Infatti nel 2012 i sequestri di materiale illegale sono arrivati a 23 tonnellate a fronte delle 8 del 2011.
Nonostante tutto razzi e cipolle dilagano, non fanno nessun gioco luminoso ma solo un gran botto; proiettili che, sparati ad altezza d’uomo, sono micidiali.
Sono quelle stesse cariche micidiali che la camorra adopera per far saltare saracinesche e vetrine dei negozianti che non vogliono pagare il pizzo.





venerdì 25 gennaio 2013

« Meglio bestia che detenuto »

la prigione delle galline


Il governo si è sciolto senza prendere alcun provvedimento “sfollacarceri”, mentre quotidiani e mass media continuano ad interessarsi alla sorte dei cani randagi in Ucraina, dei gatti sfollati da Largo Argentina o delle galline costrette in gabbie anguste.
I detenuti gradirebbero che fosse dedicata pari attenzione ad esseri umani costretti a spazi talmente
Limitati da invidiare gli animali dei giardini zoologici.


mercoledì 23 gennaio 2013

Attila, un rottweiler pacifico


Attila
Ogni giorno i Mass Media mettono in evidenza la storia di cani fedeli, che, morto il padrone, si recano ogni giorno sul posto dove lo hanno visto per l’ultima volta: in chiesa o al cimitero.
Anche io vorrei raccontare la storia del mio cane, Attila, un rottweiler pacifico, che non vedo da un anno e mezzo, da quando mi trovo recluso nel carcere di Rebibbia.
Ogni qual volta mando a casa dei panni da lavare, mio figlio glieli fa annusare e lui subito corre nella mia camera da letto e si stende sul tappetino, dove era solito riposare accanto a me e li rimane per tutto il giorno nella vana attesa del mio ritorno a casa.

lunedì 7 gennaio 2013

Il candore delle cornacchie



Il grido di dolore e speranza di Totò Cuffaro dal carcere di Rebibbia


Da pochi giorni in edicola ed in libreria sono state distribuite le prime 10000 copie de “Il candore delle cornacchie” (Ed. Guerini - 20 euro; i diritti d’autore saranno devoluti in beneficenza).
Il volume scritto da Totò Cuffaro racconta la sua esperienza da uomo politico più potente della Sicilia a matricola 87833 del carcere di Rebibbia.
Per il titolo l’autore si è ispirato alle numerose cornacchie che affollano il cielo del penitenziario cantando allegramente, libere di poter andare dove desiderano e dalla circostanza che una di esse, il primo giorno di detenzione, si posò sulla finestra della sua cella e pareva volesse intraprendere un sorprendente dialogo muto col prigioniero; si parlarono con gli occhi, poi il volatile scappò via verso il vento della libertà.
Cuffaro rivendica la sua innocenza, ma, nello stesso tempo, accetta con cristiana rassegnazione la sua condanna.
Egli è sorretto da una fede incrollabile, la quale gli permette di sopportare le angherie e le assurdità di un regolamento penitenziario colmo di divieti e dove i numerosi doveri umiliano i pochissimi diritti.
Molti gioiscono quando un potente viene sbattuto nelle patrie galere, ben pochi riconoscono il rispetto per chi era andato a costituirsi con i suoi piedi, senza imprecare contro i giudici, con una dignità riconosciuta dagli stessi avversari politici. 
Nella narrazione vengono descritti senza acrimonia l’umiliazione delle manette del tutto inutili per chi si era consegnato spontaneamente, la cattiveria del sequestro degli effetti personali che con amorevole dolcezza la moglie aveva sistemato nella sua borsa, l’approfondita ispezione corporale subita, tutto nudo, in una stanza gelida.
Vedendo gli ergastolani egli si considera fortunato, che un giorno, a differenza di loro, potrà tornare ai suoi affetti familiari, alla sua tenuta in campagna dove farà il contadino, allevando pecore e capre e continuando  a produrre un vino tra i più rinomati della Sicilia.
Si parla della sua ora di corsa mattutina che gli ha permesso una forma fisica perfetta, perdendo in un anno oltre trenta chili.
Oltre cento parlamentari sono venuti a fargli visita oltre a numerosi ecclesiastici da semplici sacerdoti a qualche cardinale. Ma la visita più gradita fu quella di Marco Pannella, venuto la notte del 31 dicembre per cenare con lui assieme a detenuti ed agenti carcerari.
Poco prima vi era stato il 18 dicembre l’incontro con il Pontefice, dopo tante volte che aveva parlato con lui affettuosamente nelle sfarzose sale del Vaticano.
Confessa che vi è una donna misteriosa di cui conosce solo il nome, Antonella, che ogni giorno gli manda una cartolina per fargli compagnia da ogni parte del mondo, forse una hostess.
Vi sono anche particolari raccapriccianti come il suicidio per impiccagione di Luigi, un detenuto dimenticato dai suoi familiari e che ha pensato che l’unico modo per uscire dall’inferno della galera era togliendosi la vita.
Vogliamo terminare con una sua poesia che fa da quarta di copertina del libro.

Il carcere è un posto
che ti priva
non soltanto della libertà
ma soprattutto
del respiro lungo della vita.
Ci manca il fiato.
Il carcere ti spezza il fiato.

Totò Cuffaro



Rebibbbia 2012: Totò Cuffaro ed Achille della Ragione

giovedì 3 gennaio 2013

Una città sacra abitata da diavoli


Napoli capitale di santi e beati

01-Andrea Malinconico - Santa Patrizia (Napoli, S. Maria della Sapienza)
Secondo la definizione di molti dei viaggiatori del Grand Tour Napoli era un paradiso abitato da diavoli, ma si trattava semplicemente di poveri lazzari e di scugnizzi senza famiglia, mentre Napoli può e deve a tutti gli effetti essere considerata una città sacra per eccellenza per il numero di chiese, superiore a quello di Roma, per la cospicua concentrazione di monasteri ed ordini monastici, che un tempo copriva gran parte del centro storico, ma soprattutto per il gran numero di santi, indigeni o di adozione, tra cui alcuni dei più importanti e famosi del cattolicesimo.
Napoli, a partire dal Seicento, possiede addirittura 52 compatroni che si affiancano al protettore per eccellenza San Gennaro, di cui non parleremo perché ne abbiamo diffusamente trattato nel primo volume.
Cominceremo viceversa la trattazione con una santa, legata al più celebre collega dallo stupefacente prodigio della liquefazione del sangue, un fenomeno estremamente diffuso all’ombra del Vesuvio, e che nel suo caso avviene, oltre che nel giorno del suo onomastico, tutti i martedì dell’anno sotto gli occhi stupefatti ed increduli degli osservatori, nella chiesa di San Gregorio Armeno, dove sono conservati i suoi resti mortali.

02-Chiesa di San Gregorio Armeno
03-Il miracolo di Santa Patrizia nella chiesa di San Gregorio Armeno
Santa Patrizia (Costantinopoli, ? – Napoli, post 685) fu una religiosa bizantina, nata da una ricca e nobile famiglia discendente dall’imperatore Costantino e secondo alcune fonti era destinata a sposare Costante II, ma lei con la fida nutrice Aglaia si recò a Roma per ricevere dal papa la consacrazione verginale.
Tornata in patria alla morte del padre lasciò il palazzo imperiale, distribuì la sua eredità ai poveri e partì verso la Terra Santa, ma durante il viaggio, secondo la leggenda, naufragò a Napoli presso l’isolotto di Megaride, dove fondò una comunità di preghiera e di assistenza ai bisognosi, ma dopo breve tempo morì.
Sant’Aspreno (IV secolo – Napoli, IV secolo) fu il primo vescovo di Napoli ed il suo carisma fece crescere di numero la locale comunità cristiana.
04 - Sant'Aspreno (Napoli, Gesù Vecchio)
05-Paolo Finoglia - San Pietro battezza Sant'Aspreno (Napoli, Museo di Capodimonte)
Ricevette l’apostolo Pietro in viaggio da Antiochia verso Roma, il quale compì alcuni miracoli. Aspreno fondò la basilica di San Pietro ad Aram, prima chiesa napoletana, dove è ancora conservato l’altare dove Pietro celebrò il sacrificio eucaristico.
San Gaetano Thiene (Vicenza, 1480 – Napoli, 1547), dopo un apostolato svolto al nord e dopo essere stato cofondatore dell’ordine dei chierici regolari Teatini, nel 1533 giunge a Napoli per fondarvi una casa dell’ordine ed il viceré Pedro de Toledo gli concesse la basilica di San Paolo Maggiore. Egli curò anche la formazione dei sacerdoti impegnati nell’ospedale degli Incurabili. Diresse il monastero delle domenicane della Sapienza e guidò Maria Lorenza Longo nella fondazione delle monache Cappuccine.
E’ invocato come santo della Provvidenza.

San Tommaso (Aquino, 1225 – Fossanova, 1274), di famiglia nobile (il padre era imparentato col Barbarossa ed occupava una carica importante alla corte di Federico II a Foggia), consacrava allo studio ed alla preghiera il tempo che i coetanei dedicavano al gioco.

06-San Gaetano (Napoli, Portalba)
07-Giacinto De Popoli - San Gaetano da Thiene (Napoli, S. Maria della Sapienza)
Il padre lo inviò a Napoli dove all’Università insegnavano i più celebri maestri d’Europa, quindi voleva recarsi a Parigi per specializzarsi in teologia, ma la famiglia era contraria e la madre lo fece rinchiudere in una cella del castello, dove cercarono di convincerlo mandandogli una procace ragazza nuda per sedurlo, ma lui la indusse alla fuga brandendo un tizzone acceso. Anche la sorella cercò di farlo ragionare ma il risultato è che si fece suora.
Nel 1272 fu nominato a Napoli professore di teologia con uno stuolo di allievi da ogni parte d’Europa.
Chiamato al Concilio di Lione da papa Gregorio X, dove si discuteva la riunificazione della Chiesa romana con quella greca, durante il viaggio cadde da cavallo, battè la testa e dopo pochi giorni chiuse la sua esistenza a soli 49 anni.
08-Agostino Beltrano - Madonna col Bambino e San Gaetano Thiene (Napoli, SS. Apostoli)
09-San Tommaso d'Aquino (Napoli, Palazzo dell'Università, Cortile del Salvatore)
San Tommaso lasciò alla Chiesa un’eredità immensa: la Summa, che si divide in 38 trattati, 631 questioni e 10000 obiezioni riguardanti non solo la teologia ma anche la metafisica, l’ontologia, l’etica, la politica e il diritto.
Al Concilio di Trento, che sanzionò la spaccatura del mondo cristiano in cattolici e protestanti, la sua Summa fu posta sull’altare al fianco dei Vangeli e la sua dottrina divenne quella ufficiale della Chiesa.
Tra le numerose sante, oltre a Santa Patrizia, di cui abbiamo parlato, non possiamo dimenticare Santa Restituta, Santa Candida e Santa Maria Francesca delle cinque piaghe, l’ultima a raggiungere l’onore degli altari e la cui casa, sita nei Quartieri Spagnoli è continua meta di visite, soprattutto da spose sterili, perché vi è conservata una sedia dotata di poteri prodigiosi perché molte donne dopo essersi sedute sono rimaste gravide.
10-San Tommaso d'Aquino (Napoli, S. Domenico Maggiore)
11-Francesco Solimena (attr.) - San Tommaso d'Aquino (Napoli, S. Domenico Maggiore)
Ed infine vogliamo completare questa carrellata con San Giuseppe Moscati (Benevento, 1880 – Napoli, 1927), un medico che dovrebbe essere preso ad esempio dai suoi avidi colleghi di oggi, il quale nel suo studio aveva in bella evidenza una cesta dove si poneva l’onorario, sul quale campeggiava un cartello esplicativo: “Chi può dia, chi non può prenda”.
Originario di Benevento, si trasferisce con la famiglia a Napoli, dove, dopo la laurea, farà carriera nell’Ospedale degli Incurabili, ma dedicandosi anima e corpo alla cura dei poveri dai quali rifiutava qualsiasi ricompensa. E quando nel 1921 a Napoli scoppiò il colera, fu uno dei pochi che si prodigò giorno e notte senza alcun timore di contrarre il terribile morbo.

12-Santa Restituta (Napoli, Museo Diocesano)
13-Gian Domenico Vinaccia - Santa Candida (Napoli, Museo Diocesano)
Beatificato nel 1975, è divenuto santo nel 1987 e nella chiesa del Gesù Nuovo vi è una cappella a lui dedicata, stracolma di ex voto e dove si può ammirare il suo studio, il suo letto e la poltrona dove serenamente si spense il 12 aprile del 1927 ad appena 47 anni. 

14-Pacecco De Rosa - San Pietro che battezza Santa Candida (Napoli, S. Pietro ad Aram).
15-Casa di Santa Maria Francesca delle Cinque Piaghe.
16-Statua di Santa Maria Francesca delle Cinque Piaghe.
17-Ignoto - Miracolo di Santa Maria Francesca delle Cinque Piaghe (Napoli, S. Maria Francesca delle Cinque Piaghe).
18-Chiesa del Gesù Nuovo

19-Elena Ivanova - San Giuseppe Moscati.
20-Statua di San Giuseppe Moscati a Torre del Greco.

martedì 18 dicembre 2012

Morale e diritto penale




Sconcezze, nudità, divieti ed ipocrisie attraverso i secoli

Un articolo su quest’argomento, se fosse scritto da un giurista per acquistare un titolo accademico, avrebbe ben pochi lettori, ma l’autore fortunatamente è un eclettico intellettuale, grande esperto di morale e sufficientemente erudito nel diritto penale, in condizione perciò di partorire un breve saggio sull’argomento per il lettore colto, ma la cui lettura è consigliabile anche per lo specialista.
Dobbiamo necessariamente definire cosa si intende per morale e diritto penale, facendo nostre le definizioni del dizionario Zanichelli, ed. 2011.
Per morale si considera un complesso di consuetudini e norme che un singolo o una collettività considerano come giuste e necessarie, di conseguenza accettano e propongono come modello da seguire nella vita pubblica e privata.
Per diritto viceversa si intende l’insieme delle norme legislative che regolano la vita sociale ed in particolare il penale è quel ramo che si interessa di tutelare la sicurezza dei cittadini, irrorando sanzioni, il più delle volte detentive.
Noi limiteremo la nostra indagine unicamente ai rapporti tra morale e diritto penale senza interessarci di rapine, droghe ed omicidi, lasciando al legislatore ed alla magistratura il compito di reprimere queste forme di delitti.
Esamineremo il rapporto tra morale e diritto penale restringendo l’analisi all’Occidente che ha sempre rispettato canoni comportamentali diversi dall’Oriente, dall’antica Roma in poi e dedicando particolare attenzione a partire dal XV secolo, quando comincia ad imperversare la Santa Inquisizione, la quale, nata in Spagna, si diffonde in tutta l’Europa cattolica e si interessa ufficialmente del delitto di eresia, acquisendo un potere di intimidazione quasi assoluto nell’eseguire indagini con metodi arbitrari e crudeli ed irrorando quasi sempre sanzioni mostruose e raccapriccianti.
In seguito per secoli potere politico e religione, giudici e preti, educatori e sbirri, come sottolineato da Michel Foucault, lavoreranno in sintonia nel controllare, sorvegliare e punire.
In nome del peccato e della morale vi è sempre stato qualcuno che si è arrogato il diritto di stabilire cosa sia consentito e cosa no, cosa sia lecito e cosa osceno.
Per morale, a partire dal Medioevo, prima per la Chiesa e poi per il potere, si è inteso principalmente l’analisi dell’esposizione dell’anatomia del corpo femminile, nonostante i vari attributi muliebri abbiano avuto differenti valutazioni nel corso dei secoli.
Nel Cinquecento il seno prorompe prepotentemente da scollature abissali, viene tollerato nelle corti e costituisce motivo di vanto e di attrazione fatale, immortalato dai più celebri pittori dell’epoca, mentre in epoca vittoriana era considerato osceno esporre anche una semplice caviglia a tal punto che la regina impose di imbavagliare le basi delle sedie nella sua sfarzosa corte.
Anche gli artisti possedevano una doppia morale come Pietro Aretino, da un lato autore di sonetti licenziosi, dall’altro profondamente indignato per la raffigurazione del modesto pisellino di Adamo nel Giudizio Universale di Michelangelo ed anche El Greco affermò perentoriamente che i più stupendi affreschi mai realizzati dall’uomo dovessero essere cancellati per sempre da una mano di calce, nonostante già nel 1545 il Concilio di Trento avesse esplicitamente condannato le nudità della Cappella Sistina e dato incarico di renderle più che caste, ricoprendo i corpi ignudi del Giudizio, a Daniele da Volterra, detto poi per questo incarico il Braghettone. Per chi volesse contemplare la celebre opera in versione originale, nel Museo di Capodimonte è conservata una tela eseguita da un abile copista, prima dell’opera devastatrice del Braghettone. 
L’esposizione del corpo femminile avviene cautamente nel tempo: caviglia, gamba, coscia, seno. Per i primi casti bikini comparsi in Italia negli anni ’50-’60 si rischiava di essere trascinati davanti al pretore (ignaro che, come dimostrano i mosaici di Piazza Armerina, le antiche romane lo usassero con disinvoltura) e vedersi condannate per atti osceni in luogo pubblico. Negli stessi anni a St. Tropez trionfava sulle spiagge à la page il seno al vento.
Il limite supremo è stato a lungo il pelo pubico, che non poteva addirittura nemmeno essere descritto, a tal punto che un giudice della Corte Suprema americana nel 1966 condannava l’editore di un libro “Memorie di una donna di piacere” scritto nel 1748 da John Cleland.
Il pelo femminile avrà il suo trionfo nel 1866 quando Gustave Courbet nel suo straordinario capolavoro “L’origine del mondo” immortalerà un pube ispido e senza veli in primo piano ed a gambe aperte.
Ma se torniamo indietro di mezzo secolo e ci trasferiamo a Napoli, nel 1819 assisteremo ad una gustosa scenetta con Francesco I, futuro re che porta ad istruirsi la figlia Carlotta nella zona del Palazzo degli Studi dedicata ai reperti archeologici di Pompei ed Ercolano: “Guarda, osserva, impara”. Ma mentre gli occhi della fanciulla si illuminano di morbosa curiosità, quelli dell’austero genitore si posano inorriditi tra nani con falli smisurati, femmine in pose lascive, accoppiamenti plurimi ed amuleti a forma di membri virili.
Il re infuriato ordinò l’immediata chiusura del reparto, che per la riapertura ha dovuto attendere il 1999 (per chi volesse approfondire l’argomento consiglio di consultare sul web il mio scritto con numerose illustrazioni dal titolo “Il gabinetto segreto”).
Ma torniamo al pelo pubico che troverà la sua esaltazione negli anni Settanta del Novecento, grazie a riviste come Playboy e Penthouse, mentre per il maschio nudo sorgeranno giornali specializzati per la gioia di signore, signorine ed appartenenti al terzo sesso.
Negli ultimi decenni, mutati i costumi, sarà un diluvio tra le cosce delle ballerine del can can, agli striptease integrali, mentre anche al cinema comincia a comparire il seno nudo. In Italia sarà Clara Calamai la prima ne “La cena delle beffe”.
E poi un tripudio generale dall’ingenuo spogliarello politico e sociale di “Full Monty” all’esplosione della volgarità di massa.
Da Michelangelo a Lele Mora, da Francesco I a Silvio il cavaliere ed al suo burlesque con ragazzine travestite da Obama o da Ilde Boccassini, tutto si trasforma in una storia dell’oscenità ed ecco di nuovo il potere giudiziario tralasciare i reati più gravi ed accanirsi sui palpeggiamenti senili di un cittadino libero, grazie al Viagra ed al Cajerget, di trastullarsi a casa sua.