sabato 30 giugno 2012

Scacchi a Rebibbia


Achille della Ragione über alles

gli scacchisti: Kusturica e della Ragione

Un torneo autogestito si è svolto nel carcere di Rebibbia con la partecipazione dei una quindicina di detenuti. Vincitore a punteggio pieno è risultato il maestro napoletano Achille della Ragione davanti al maestro internazionale albanese Kusturica (foto). Il giorno successivo in una grande simultanea il vincitore ha sfidato tutti i partecipanti, battendoli di nuovo tutti. Per l’autunno si prevede l’organizzazione di un corso di scacchi, per permettere a tutti di conoscere ed apprezzare questa nobile attività agonistica, che, oltre a tenere in esercizio l’intelligenza e la memoria, insegna la correttezza, per cui è stata giustamente denominata “Il gioco dei re ed il re dei giochi”.

Lorenzo Mazza

martedì 26 giugno 2012

RAIMONDO DE DOMINICI


PADRE DEL CELEBRE BERNARDO


Un pittore dimenticato nella folla dei minori

Vite de’ Pittori Scultori ed Architetti di Bernardo De Dominici


Il Seicento napoletano è dominato da giganti del calibro di Caravaggio, Cavallino, Stanzione, Ribera, Giordano, Preti, Solimena e da una folla di comprimari, che chiamare minori è certamente riduttivo, quando pensiamo a Micco Spadaro, oppure a Pacecco De Rosa, Giuseppe Marullo, Agostino Beltrano, Aniello Falcone, Andrea De Lione, Carlo Coppola, Niccolò De Simone, Giacomo Farelli, Giacomo Del Po, per la cui conoscenza rinvio alle mie monografie, mentre per un quadro complessivo dell’epoca al mio “Secolo d’oro della Pittura Napoletana” in dieci tomi ed ai due repertori fotografici a colori in due volumi. (Tutte opere integralmente consultabili sul mio sito).
Raimondo De Dominici è padre del famoso biografo Bernardo, al quale siamo debitori per almeno la metà di quello che conosciamo su quella straordinaria avventura figurativa, che fece di Napoli una capitale indiscussa dell’arte.
Come pittore di Raimondo conoscevamo il suo alunnato prima a Malta col Preti e poi, ritornato in patria col Giordano ed una sola opera certa e documentata al 1682 “La visione di San Giovanni della Croce”, sita nella cappella Ciccarelli della chiesa napoletana di S. Teresa degli Studi (figg. 1-2).

fig.1

fig.2

Dobbiamo a Salvatore Costanzo il merito di aver allargato il panorama sulla sua produzione, reperendo nuovi dipinti e documenti, che ci restituiscono una personalità abile non solo nella pittura, ma anche nell’affresco e nell’allestimento di gigantesche macchine sacre per le principali chiese della città, come San Domenico Maggiore ed il Gesù Nuovo ed in occasione della festa delle “Quaranta Ore”.
Ritornando alla “Visione di San Giovanni della Croce”, dobbiamo sottolineare che nell’opera, superata l’influenza dei modi pretiani, subentra prepotentemente una visione più attenta al cromatismo con l’utilizzo di toni morbidi e caldi, che protrudono dalla penombra, la quale domina la parte alta del cielo, mentre tutta la composizione è permeata da una grande partecipazione emotiva.
La pala viene ricordata dal figlio Bernardo nelle sue Vite, dal Catalani nel suo saggio sulle Chiese Napoletane ed infine dal Galante nella sua monumentale Napoli Sacra (1872), rivisitata nel 1985 da Spinosa coadiuvato dalla sua valida “équipe” della Sovrintendenza partenopea.
Tra le opere eseguite in provincia vanno segnalati due importanti lavori compiuti a Marcianise.
Il primo è un imponente dipinto per il soffitto cassettonato del Duomo “San Michele Arcangelo che scaccia Lucifero dal Paradiso” (figg. 3-4), nel quale, oltre a chiari influssi di matrice pretiana, si riscontra anche un’inclinazione verso i modi del Beinaschi. Per la datazione il Costanzo propone gli anni tra il 1678 e il 1687.

fig.3

fig.4

La scena è imperniata sulla figura dell’Arcangelo, il quale, con la spada sguainata sta per infliggere un poderoso fendente a Lucifero, che si agita disperato tra le fiamme, in compagnia degli angeli sconfitti, mentre dall’alto il Padre Eterno sembra approvare l’accanimento in linea col racconto dell’Apocalisse.
Il secondo dipinto presente a Marcianise nella chiesa di San Carlo (figg. 5-6) raffigura San Carlo mentre comunica gli appestati, una tematica di grande successo dopo la terribile epidemia dal 1656, che in pochi mesi distrusse la popolazione napoletana di un terzo, oltre a cancellare una intera generazione di pittori.

fig.5

fig.6

La tela è firmata “Raindomaltese” ed è ricordata nell’inventario sia della chiesa che in quello storico diocesano di Capua. Non è indicata la data, che va collocata tra il dipinto del cassettonato del Duomo e prima della pala sita in S. Teresa degli Studi.
Il clima è intriso di drammaticità, con ombre cupe e livide, luci radenti, mentre il santo, imperturbabile, distribuisce l’ostia ai moribondi. Sulla parte inferiore compare un’iconografia (fig. 7) derivata dal Poussin e ripetuta all’infinito dagli artisti napoletani dal Giordano al Preti, dallo Spadaro al Del Po: un pargoletto rimasto orfano, che sugge il latte da una puerpera moribonda.

fig.7

Un attento esame del dipinto ci permette di assegnare a Raimondo la tela (fig. 8) della Pinacoteca Provinciale di Salerno attribuita ad ignoto meridionale.
fig.8

Nel 1692 Giordano si reca in Spagna e Raimondo dopo tre anni a Malta (1698-1701) lavora per le case gesuitiche di Siracusa e Catania.
Gli ultimi anni di attività sono difficili da ricostruire anche se Costanzo ha reperito documenti per dipinti dispersi o da rintracciare.
Concludiamo con un accenno a due suoi allievi: Michele Pagano e Filippo Ceppaloni. Il primo deriva da Raimondo “Il gusto plastico, la ricerca dell’equilibrio compositivo e la sensibilità spaziale”. Riguardo al Ceppaluni, del quale solo di recente è stato oggetto di attenzione da parte della critica, pesa molto anche l’influenza del Giordano.
Tra le sue tele più note quelle eseguite (figg. 9-10) per la chiesa di San Francesco d’Assisi a Forio d’Ischia, per la cui disanima rinviamo alle pagine del nostro libro “Ischia Sacra Guida alle Chiese”.
fig.9

fig.10

Il carcere dei famosi e la realtà dei poveri Cristi



I mass media si interessano incessantemente ad evidenziare ogni qualvolta un personaggio famoso: un politico, un attore, uno sportivo varca la porta del carcere.
E’ una straordinaria risorsa narrativa capace di calamitare l’attenzione del lettore e la sua pruriginosa curiosità, magari alimentata da un pizzico di invidia sociale e di segreta soddisfazione per il loro destino.
Ma nessuno si interessa delle tristi storie di quell’esercito di poveri Cristi, di quella infinita schiera di detenuti sbattuti in galera, spesso semplici indizi e non prove, ad attendere un giudizio che in quasi la metà dei casi li vedrà innocenti, mentre nel frattempo sono costretti a vivere sulla propria pelle gli straripanti problemi della detenzione e dell’inefficienza della giustizia. 

lunedì 25 giugno 2012

Libro di Melania Rizzoli sul dolore nel carcere


VOCI DI DETENUTI CELEBRI RIDOTTE A PALLIDI ECTOPLASMI


DETENUTI - INCONTRI E PAROLE DALLE CARCERI ITALIANE
 (SPERLING & KUPFER)

Il drammatico problema del sovraffollamento e dell’invivibilità dei penitenziari italiani è argomento di scottante attualità e, nonostante più volte il Presidente Napolitano abbia fatto sentire la sua voce solenne ed ammonitrice, Parlamento e Governo si sono disinteressati alla questione, impegnati a tartassare con tasse e balzelli i dipendenti a reddito fisso.
Melania Rizzoli, medico e deputato, nonché moglie dell’editore Angelo Rizzoli, ha scritto un libro che si legge, dalla prima all’ultima pagina, con le lacrime agli occhi: “Detenuti - Incontri e parole dalle carceri italiane”, il cui sottotitolo potrebbe essere il celebre verso dantesco: “Lasciate ogni speranza o voi ch’entrate”.
La premessa sconvolgente è affidata ai numeri: 206 istituti, che potrebbero accogliere 45000 reclusi, costretti ad ospitarne quasi 70000, mentre ogni giorno le entrate superano le uscite.
La scrittrice ha visitato questi gironi infernali ed ha ascoltato voci famose ed anonime, entrambe accomunate da un identico destino di solitudine, malinconia, annientamento fisico.
Uno dopo l’altro si ascoltano racconti di detenuti, che hanno avuto l’onore della cronaca per i loro delitti da Mambro a Vanna Marchi, dal boss dei boss Provenzano a Cuffaro, da Michele e Sabrina Misseri, Sofri, Tanzi, Lele Mora e Olindo Romano. Tutti colloqui privati che si trasformano in un viaggio interiore, che modifica profondamente chi vive tra quelle tristi mura, dimostrando alla fine come il sistema repressivo italiano tenda a distruggere la personalità ed a far ritenere il suicidio come una liberazione.
Sofri: “In carcere non puoi permetterti i sentimenti, perché diventano delusioni”.
Mambro: “Il carcere è un tritacarne, ti schiaccia e ti schianta”.
La Marchi parlando di Lele Mora: “Per affrontare il carcere ci vogliono le palle e due non bastano”.
Tanzi: “No, non leggo i quotidiani, ma solo il Vangelo, una pagina la mattina e una la sera”.
Emblematica la visita a Provenzano, che non parla con nessuno ed ha vissuto un’interminabile latitanza come un topo in una fogna. “Cosa le manca di più?”. “L’aria, mi rispose deciso guardandomi con occhi senza espressione”.
Il libro termina con un ammonimento ai magistrati quale responsabilità si assumono quando firmano un ordine di carcerazione senza avere ancora la certezza della colpa, in stridente contrasto con l’articolo 27 della nostra costituzione.

domenica 24 giugno 2012

PIENA INTEGRAZIONE


UNA ESPERIENZA DAL VIVO


Il problema dell’integrazione tra Italiani ed il fiume di stranieri che, anno dopo anno, sempre più affluiscono nel nostro paese, in un solo luogo ha trovato piena applicazione: nei penitenziari, soprattutto delle grandi città: Roma, Napoli, Milano, nei quali oramai “gli alieni “ (ma sono nostri fratelli) costituiscono la maggioranza.
Nel buio delle celle vigono regole di solidarietà sconosciute nel mondo esterno, cosiddetto civile e tutti si considerano membri di una grande famiglia, chi non conosce la nostra lingua la impara in fretta, acquisendo anche la cadenza dialettale locale.
Un esempio virtuoso di cui tenere conto e da perseguire, perché non si può andare contro il corso della storia. 
Noi abbiamo bisogno della loro energia e voglia di conquistare il benessere ed è una fortuna non una calamità, che molti scelgono l’Italia, antica terra di emigrazione, divenuta oggi per tanti la Terra promessa.

martedì 22 maggio 2012

Come uscire dalla crisi



I tempi delle vacche grasse sono tramontati per sempre e nessuno propone idee per uscire dalla crisi.
I sindacati, invece di difendere strenuamente l’indifendibile, perché non propongono di tornare alla settimana lavorativa di 40 ore, inclusi gli statali, a parità di stipendio?
Aumenterebbe sensibilmente la produttività e si incoraggerebbero gli imprenditori stranieri ad investire in Italia.
Sarebbe una virtuosa inversione di tendenza ed un segnale positivo, che certamente verrebbe favorevolmente accolto dal mercato.

giovedì 17 maggio 2012

PeramareNapoli, un vero capolavoro



Una testimonianza sui mali della città




Tra i numerosi libri che sono stati scritti su Napoli negli ultimi tempi il più bello, une vera testimonianza d’amore verso questa sfortunata città, antica e gloriosa capitale decaduta al ruolo di capitale della monnezza e della criminalità, è senza dubbio PeramareNapoli di Renato Nicolini (Edizioni Clean). 
L’autore non ha bisogno di presentazioni. Egli è stato assessore all’Identità del comune di Napoli per tre anni dal 1994 al 1997 nella giunta Bassolino, dopo essere stato per un decennio deputato, ma soprattutto famoso per essere stato l’ideatore della Mitica Estate Romana.
Architetto come professione tra le sue passioni ha il teatro e la scrittura.
Il libro è scorrevole, diviso in 21 capitoli, ricco di illustrazioni e si legge tutto di un fiato, tanto avvincente è il ritmo della narrazione. Esso nasce di getto ed è una rivisitazione critica del suo operato, di ciò che si è fatto e del tanto che ancora deve farsi, restituendo alla cultura il ruolo di volano del progresso e della rinascita. L’autore ribadisce perentoriamente: “L’oro del futuro è costituito da quelle risorse che non inquinano e sono sempre rinnovabili e Napoli è una miniera di energie da radicate tradizioni alla più alta concentrazione di giovani del mondo occidentale”.
Il tesoro di Napoli è quello di essere una città stratificata nel tempo che mescola sapientemente Pulcinella con la pizza, Domenico Vaccaro con Caravaggio, il Sannazzaro col Boccaccio, la sfogliatella al presepe, la Piedigrotta con le moderne installazioni del Madre e del Pan.
E’ proprio a Napoli che nasce, partendo dal Trecento, l’idea stessa di una moderna metropoli, dove convivere con persone di provenienza diversa ed oggi rischia di smarrire l’orgoglio e la dignità della grande città.
La critica all’operato di Bassolino ed all’illusione di un nuovo rinascimento è chiara senza giri di parole. Egli accusa il mitico sindaco di aver sperperato un patrimonio di entusiasmo, quando “A nuttata” sembrava passata e tutti vivevano un sogno di libertà.
Ma le colpe maggiori vengono attribuite allo Spoil System che governa attualmente, impegnato più a distruggere che a ricostruire.
“Sono incazzato, incazzatissimo, ma più che altro triste” e cita tra i tanti la vicenda del Trianon, il teatro posto nel cuore di Forcella chiuso per volontà della regione, con Nino D’Angelo, che ne era divenuto l’anima, licenziato dalla sera alla mattina come un qualsiasi precario, lui che aveva fatto recitare le mogli dei carcerati, aveva creato dal nulla una orchestra multietnica, dato spazio a chi non ha voce.
Mentre manifestazioni culturali come Galassia Gutemberg scompaiono, il cinema riesce a proporre ancora spunti di meditazione ed attraverso una puntuale trasposizione della realtà rimettere in discussione antichi stereotipi.
A parte Gomorra, icona indiscussa della ferocia che tiene in ostaggio gran parte della cittadinanza ansiosa di vivere e di riscattarsi, Nicolini cita L’Amore Buio di Capuano o il Gorbaciov di Incerti, che ci propone una immagine di Napoli refrattaria alla corrente oleografia, tra retrobottega di ristoranti cinesi e maestosi grattacieli del Centro Direzionale, oppure il Noi Credevamo di Martone, una rivisitazione acida e spietata del Risorgimento e dei suoi vistosi buchi neri ignorati dalla storiografia ufficiale.
Ha parole di disprezzo per il dramma di Bagnoli e delle sue acque, che trasudano amianto, auspica un museo per la Canzone Napoletana, un patrimonio inestimabile, che rischia di disperdersi, un recupero del Teatro Margherita, dove per decenni trionfò il Café Chantant, permettendo a Napoli di rivaleggiare con la Parigi della Belle Epoque e non si dimentica di Villa Ebe, la casa dove abitò Lamont Young, il geniale architetto, che oltre ad edificare gioielli come il Grenoble ed il Castelletto Medievale del Parco Margherita, fu il primo al mondo a progettare una linea metropolitana.
E poi ancora restituire dignità al Miglio d’oro ed a Pompei ed Ercolano, dove è nata l’archeologia. Ma bisogna affidarsi agli studiosi e non ai manager, perché non si può ridurre il fascino della cultura unicamente al dio denaro.
Il perno sta nel ripristino del merito e della legalità, senza la quale non può esserci che il dominio dei poteri criminali.
Bisogna sconfiggere il cattivo governo e la camorra da tempo alleati.
Solo così Napoli potrà ritrovare l’antico splendore, altrimenti la stessa mano maligna che spense la rivoluzione del ’99 ed oggi l’ha trasformata in Gomorra cancellerà per sempre i sogni di tutti coloro che hanno continuato ad amare e si battono per Napoli nonostante…