giovedì 21 marzo 2013

Antico splendore ed attuale miseria delle Ville Vesuviane



porto del Granatello e villa d'Elboeuf.

Il “Miglio d’oro”, per più di un secolo indiscusso protagonista della mondanità napoletana, versa oggi in un vergognoso stato di degrado che grida vendetta.
Delle 31 ville vesuviane censite e tutelate dall’omonimo Istituto, nato allo scopo di salvaguardare l’enorme patrimonio ereditato dall’epoca borbonica, in cui erano molte di più, poche appartengono allo Stato, come il Palazzo Reale di Portici, sede della facoltà di Agraria, e Palazzo Mascabruno, da poco liberato dagli occupanti abusivi, del quale è in corso un parziale recupero, così come per il Galoppatoio Reale, di cui parleremo più avanti.
Sempre a Portici, vi sono Villa Mascolo, restaurata dal Comune, e Palazzo Valle, sede della Polizia Penitenziaria.
Tra quelle private in condizioni di deplorevole abbandono, vi sono Villa Lauro Lancellotti, Villa Zelo e Palazzo Ruffo di Bagnara. Villa d’Elboeuf, ridotta ad un cumulo di macerie, fra poco sarà messa all’asta per la gioia degli speculatori.

palazzo Mascabruno,galoppatoio reale
galoppatoio reale
palazzo Lauro Lancellotti

palazzo Lauro Lancellotti, dopo crollo facciata
Tutto nacque proprio da questa villa, quando nel 1711 il Principe d’Elboeuf ordinò ad uno dei massimi architetti del tempo, Ferdinando Sanfelice, di costruirgli una dimora “la più sfarzosa possibile”, su una superficie di oltre 40.000 metri quadrati, protesi sul mare, dotati di spiaggia privata, da cui si poteva ammirare estasiati l’intero arco del golfo.
Proprio affianco, re Carlo di Borbone costruì la sua reggia estiva e poco dopo nel 1839, re Ferdinando II inaugurò la ferrovia Napoli-Portici, seconda al mondo e prima in Italia.
Il Principe d’Elboeuf arredò la villa con tantissime statue e reperti archeologici provenienti dagli scavi di Ercolano tanto da dare l’impressione a re Carlo ed a sua moglie Amalia di Sassonia, ospiti del nobile dopo essere stati sorpresi da un fortunale durante una gita in battello, di trovarsi in un vero e proprio museo.
Tutti i nobili napoletani, pur di abitare nei mesi caldi accanto al loro sovrano edinvitarlo alle loro feste, intrapresero la costruzione di ben 121 ville, circondate da giardini lussureggianti, commissionandole a grandi architetti che, da Luigi Vanvitelli a Ferdinando Fuga, da Domenico Vaccaro a Ferdinando Sanfelice, si sbizzarrirono in un estroso roccocò.
Mentre le ville più celebri cadono a pezzi, alcune strutture sono oggetto di un tentativo di recupero: Villa Matarazzo si trasformerà in un auditorium con vista sugli scavi di Ercolano ed il terreno circostante sarà occupato da uno stadio di 10.000 posti in grado di ospitare partite di serie B; la Reggia della Favorita sarà convertita in un polo culturale delle arti ed i cinque ettari di vigneto contigui, attualmente abbandonati, diventeranno un’azienda vinicola.
Ma il recupero più grandioso sarà quello del Galoppatoio Reale, realizzato nel ‘700 da Carlo di Borbone per consentire alla cavalleria reale di allenarsi al coperto d’inverno.
Portici come Vienna, che a Hofstallgehaude vanta l’unico maneggio equestre esistente in Europa.

palazzo Ruffo di Bagnara
villa d'Elboeuf
villa d'Elboeuf
villa d'Elboeuf
interno villa d'Elboeuf
interno villa d'Elboeuf

villa Matarazzo


domenica 17 marzo 2013

Il triste declino della biblioteca dei Girolamini



La biblioteca dei Girolamini ha costituito da sempre uno dei fiori all’occhiello di Napoli, con un prezioso patrimonio librario secondo solo a quello della Nazionale ed una spettacolare sala Vico, di una tale grandiosità che è arduo trovare in Italia un’altra con cui possa gareggiare.
Sala Vico da tempo immemorabile non visitabile. Ricordo che quando accompagnai, nel corso delle mie visite guidate, un centinaio di appassionati a visionarla, dovetti chiedere permessi e favori a destra e manca, come nessun altro monumento “negato” della città.
La biblioteca è stata sempre custodita dai monaci dell’annesso convento, dove spesso vi erano fenomeni tra il magico ed il segreto, che richiedevano per essere interpretati di un esperto in esoterismo che avesse “occhi per vedere ed orecchie per sentire”. Ed a conferma di questi fenomeni ci viene in aiuto un inquietante episodio accaduto nel convento dei Girolamini, citato da diverse fonti, riguardante la permanenza come ospite di un illustre cavaliere Don Carlo Ulcano, durante la quale, di notte le suppellettili si spostavano, pietre cadevano dal soffitto, in un incalzare di frastuoni di catene e porte che cigolavano, mentre spesso i monaci si svegliavano legati tra loro per la tonaca. Di giorno tutto si svolgeva regolarmente, mentre di notte si scatenava un vero e proprio Inferno.
Andato via il cavaliere i fenomeni scomparvero ma le fonti non spiegano il perché.
Don Carlo si era recato nel convento né per meditare, né in preda ad una crisi mistica, bensì perché intendeva consultare durante la notte quei libri, allo scopo di scoprire i segreti della evocazione, che tanto interesse destavano nella aristocrazia tra il Cinquecento ed il Seicento, un secolo che vide celebrarsi numerosi processi per stregoneria.
Inesperto egli nel legger le formule scatenava incontrollate presenze malefiche, che si riversavano sui malcapitati frati, senza riuscire a creare quel cerchio difensivo che avrebbe saputo preparare un occultista esperto.
biblioteca girolamini
Sala Vico
biblioteca Gerolamini: sala Vico

Con il terremoto del 1980 fu assestato il colpo di grazia alla biblioteca, prima con i gravi danni provocati dal sisma, poi con l’invasione da parte di coloro che abitavano in case pericolanti, i quali senza che nessuno si opponesse al loro disegno criminoso, si trasferirono in massa con materassi e suppellettili nei locali della biblioteca, dove vissero indisturbati per anni e colmo della sfrontatezza, novelli barbari, bruciarono le pagine di centinaia di codici ed incunaboli per riscaldarsi nelle tiepide notti partenopee.
Dopo la plebaglia ed un interminabile periodo di chiusura, è stato il momento dei colletti bianchi, che per anni, con la regia del direttore De Caro, hanno depredato migliaia di preziosi volumi della sfortunata biblioteca, che sono finiti in private raccolte e sul mercato internazionale. In un filone secondario dell’indagine è spuntato anche il nome del senatore Dell’Urti, bibliofilo accanito, indagato per in concorso in peculato, il quale ha dichiarato che si trattava di omaggi del direttore ed ha restituito alcuni volumi, ma non ancora una copia dell’Utopia di Tommaso Moro, che dichiara candidamente di aver smarrito.
Finalmente si è giunti  alla 1^ udienza del processo con rito abbreviato, nel quale il PM Antonella Serio ha chiesto pesanti condanne  per i 6 imputati, i quali, con ruoli diversi avrebbero portato nottetempo via, nascosto e rivenduto i libri antichi “con un brutale e sistematico saccheggio”, dei quali solo una piccola parte è stata ritrovata, grazie alla collaborazione di antiquari stranieri. Risaltano i dieci anni di reclusione per il direttore De Caro ed i sei anni e sei mesi per Viktoriya Pavloskiy, la sua factotum tuttofare…

Massimo Marino De Caro, direttore della Biblioteca Girolamini fino al 19 aprile 2012
facciata Girolamini ingresso su Via Duomo
Chiostro Girolamini
Chiesa dei Girolamini


mercoledì 13 marzo 2013

I riti della fertilità a Napoli

casa Santa Maria Francesca

 Tutti i popoli antichi hanno tenuto in grande considerazione la fertilità della terra senza trascurare quella femminile, per cui agli uomini piacevano le donne grasse, come la Venere di Willendorf (cfr. sul web: a.della ragione pag 9-fig.1) oppure le opulente modelle di Giorgione e Tiziano (cfr.ibidem, pag.28/29, fig.39/41), perché ritenevano che avrebbero certamente allattato il nascituro. Inoltre tenevano in grande considerazione le puerpere, come ci dimostrano le maestose “MatresMatutae” (cifr.ibidem, pag.11, fig.6) conservate al Museo di Capua.
Veneravano la dea Demetra, mentre nel Medio Evo andò di moda il culto delle “Madonne del Latte”  (cifr.ibidem, pag.11, fig.4) o la “Madonna del Parto”, il celebre capolavoro di Piero della Francesca, conservato nel Museo di Monterchi (Arezzo), cui possono accedere gratuitamente le donne incinte.
In area napoletana i riti pagani subiscono nel tempo una metamorfosi per l’influsso della religione cristiana.
Noi descriveremo tre riti: il primo prettamente pagano, il secondo con un’evidente contaminazione, il terzo squisitamente cattolico.
Nella grotta di Piedigrotta si svolgeva il rito a “Venere Genitrice”, praticato dalle spose sterili, che invocavano la grazia della fecondità e durante tutto il mese di settembre, alcuni volenterosi e ben dotati sacerdoti, grazie all’effetto di potenti afrodisiaci, si attivavano in maniera biblica per ingravidare quante più donne possibile.
Petronio,Seneca e Strabone ci raccontano che, mentre all’interno ci si attivava per la riproduzione della specie, all’esterno, tra anfratti e cespugli, la plebe si abbandonava al ritmico suono di strumenti musicali, ad amplessi multipli, in un’atmosfera delirante di eccitazione.
La più divertente commistione tra riti pagani e ritualità cattoliche resta senza dubbio quella del “vaso ‘o pesce  ‘e San Raféle” (bacio al pesce di San Raffaele) che, per secoli, le ragazze da marito, e qualcuna ancora oggi, officia nella chiesa dedicata all’Arcangelo nel quartiere Materdei.
San Raffaele, protettore dei pescatori, è rappresentato come un bellissimo ”Genio Alato”che regge nella mano il pesce, a rappresentare il “phallosneapolitano”, antico simbolo della virilità napoletana.
Ogni giovane e casta promessa sposa napoletana ha baciato con speranza e passione quell’ancestrale archetipo della fecondità, che assicura la sopravvivenza della specie come il pescato assicura la sopravvivenza quotidiana.
ingresso casa Santa Maria Francesca
L’ultimo rito di fecondità che si svolge in Occidente, a Napoli, è perfettamente cattolico e si svolge nel cuore dei Quartieri Spagnoli, a due passi da Via Toledo, nella casa dove abitò Santa Maria Francesca delle Cinque Piaghe, l’unica donna meridionale salita alla gloria degli altari.
Il sei di ogni mese, al numero 13 di Vico Tre Re, sin dalle prime ore del mattino, si mettono in fila decine di donne desiderose di prole, per accedere al “Sancta Sanctorum” della procreazione e potersi sedere sulla sedia dei miracoli, quella dove la Santa trascorse la sua vita a pregare e ricamare.
Prima vengono ricevute da Suor Giuliana, che ascolta pazientemente storie di odissee da un medico all’altro con miria di di tentativi falliti. Quindi la religiosa sfiora il ventre della donna con un reliquiario contenente una vertebra ed una ciocca di capelli della Santa, al che molte percepiscono una vampata di calore, uno strano formicolio, una sorta di energia positiva, in grado di infondere speranza.
Si tratterà di suggestione, di un raffinato effetto placebo, certo è che molte ritornano l’anno successivo a ringraziare col figlioletto in braccio.
E tutto ciò avviene da alcuni secoli, dal 6 ottobre 1791, giorno della morte della santa francescana, la quale, in vita,oltre al dono della profezia, aveva anche quello di compiere prodigi, come quello di indurre una statua di Gesù Bambino ad animarsi, per farsi vestire con gli abitini che lei stessa aveva cucito per Lui (statua che anni fa fu oggetto di un furto sacrilego che scatenò l’indignazione popolare).
Da devozione locale, in un mondo globalizzato, grazie al web, la fama della Santa dei Quartieri  ha raggiunto tutto il mondo, facendo accorrere donne da Milano e Palermo, ma anche da Madrid, da Parigi, dagli Stati Uniti e dall’America latina.
Addirittura alcuni armatori offrono ai crocieristi in viaggio di nozze uno speciale pacchetto, che include la visita alla casa-sacrario, colma fino all’inverosimile di fiocchi rosa ed azzurri,oltre a bomboniere, esposti come ex-voto.
Tra gli ospiti d’onore ricordiamo Sua Altezza Reale Sergio di Jugoslavia, figlio di Maria Pia di Savoia, nata proprio a Napoli.
Ed inoltre crescono come funghi i siti che celebrano il culto su internet, dai quali è possibile scaricare la preghiera per chiedere la grazia alla Santa, scritta in uno sgangherato italiano ottocentesco.
Naturalmente, non mancano le implorazioni in community e le segnalazioni dei miracoli on-line.


sedia della Santa


mercoledì 6 marzo 2013

La nascita di Fuorigrotta


spiaggia di Coroglio

Fino all’inizio del secolo scorso Fuorigrotta era tutta verde, abitata da famiglie di contadini.
Era un luogo alquanto malfamato, rifugio di latitanti e chi vi accedeva attraverso la Canzanella (l’attuale Via Caravaggio) lo faceva col cuore in gola perchè continue erano le aggressioni alle quali il Fascismo, con le maniere forti, mise fine.
La spiaggia di Coroglio era un paradiso in terra, affacciata su un mare limpidissimo, meta di villeggiatura delle famiglie borghesi, che avevano le loro villette a Bagnoli (inclusi i miei nonni, i quali possedevano un palazzetto in Via Ilioneo, che ancora esiste, trasformato in un condominio di sottoproletari).

Palazzo della Provincia e Palazzo delle Poste

Palazzo della Provincia
particolare palazzo della Provincia.

Palazzo delle Poste

palazzo delle Poste e lapide era fascista
Erano ancora lontani i tempi dell’Ilva, che rappresentò a lungo il fiore all’occhiello della siderurgia italiana e collaborò alla formazione di una classe operaia consapevole, per diventare poi Italsider e, crollato il mercato, una roccaforte comunista, che ha divorato migliaia di miliardi allo Stato, ha inquinato il mare e l’ambiente, per trasformarsi infine in quel mostro ecologico inamovibile, per le beghe dei politici, che grida vendetta a Dio, perché preclude ogni progetto di rinascita della città, mentre potrebbe trasformarsi in un grande porto turistico con alle spalle alberghi di lusso e, semmai, anche un casinò che, attirando una ricca clientela internazionale, procurerebbe benessere e posti di lavoro.
Ed arriviamo al fatidico 6 maggio 1936, quando Mussolini, dal balcone-pulpito di Piazza Venezia, ad una folla accorsa ad osannarlo, annuncia trionfante, “Al di là dei Monti, al di là dei Mari, al dilà degli Oceani”, la fine della guerra di colonizzazione ed il “ritorno dell’Impero sui colli fatali di Roma”.
Un anno dopo stabilisce la creazione di un grandioso complesso per ospitare ogni tre anni una mostra delle “Terre Italiane d’Oltremare” non a Palermo, non a Bari, non a Genova, bensì a Napoli, centro del Mediterraneo, ed in meno di due anni, lì dove erano vecchi casali agricoli, sorgerà la Mostra D’Oltremare, un polo di grande attrazione turistica e commerciale.
Dopo le triennali di Mussolini vi furono quelle repubblicane. All’architetto Carlo Cocchia fu affidato il compito di dare una nuova identità alla struttura ed il 9 giugno 1952 il presidente Einaudi inaugurò la prima triennale della nuova epoca dedicata al “Lavoro Italiano nel Mondo”.

palazzo Intendenza di Finanza

piazza Carità
palazzo Assitalia
La Mostra d’Oltremare, uno degli ultimi grandi lavori pubblici della Napoli moderna, rappresentò il canto del cigno dell’imprenditoria artistica meridionale.
Fu l’atto finale del decennio d’oro dell’architettura e dell’urbanistica a Napoli, che vide sorgere gli ospedali collinari “XXIII marzo” ed il sanatorio “Principe di Piemonte” (poi ribattezzati “Cardarelli” e “Monaldi”), il nuovo Rione Carità (con i palazzi delle Poste, delle Finanze, della Provincia, della Questura, del Banco di Napoli), le strade panoramiche di Posillipo, la stazione di Mergellina e la stazione marittima, l’Istituto dei Motori fino ad arrivare al Collegio Ciano, che diverrà la sede della Nato ad Agnano.
La triennale delle Terre d’Oltremare era suddivisa in tre padiglioni indipendenti, ognuno dei quali illustrava le caratteristiche geografiche delle zone conquistate e le opere di valorizzazione industriale messe in atto dall’Italia. Vennero impegnati 120 artisti che realizzarono sculture, mosaici e tappeti di ceramica.
Vi erano anche dei leoni berberi, divisi dai visitatori da un profondo fossato, che dava l’impressione di essere a stretto contatto con quei felini stupendi. Nel padiglione della Libia si gustava un ottimo caffè turco, mentre si poteva ammirare una splendida libica che danzava a seni nudi.
Erano i tempi in cui il pubblico affollava i cinema per godere dei seni di Clara Calamai, che comparivano per cinque secondi.
Che tristezza vedere una superba struttura, adibita negli ultimi anni ad ospitare, al massimo, la “Fiera della Casa”.
Banco di Napoli




particolare facciata



stazione marittima

Istituto Motori

Mostra d'Oltremare negli anni '40.
facoltà d'ingegneria

Bagnoli da Posillipo

Bagnoli,area ex Italsider
Italsider aprile 1987
colata dell'acciaio

nastro di raffreddamento

rotoli acciaio

venerdì 1 marzo 2013

NAPOLI CHIOCCIA GENEROSA

Una felice mescolanza di popoli e razze



Napoli è stata sempre giudicata una città porosa, non tanto perché poggia su di uno strato di tufo, che possiede queste caratteristiche, quanto per l’innata capacità di amalgamare i vari popoli che nei millenni l’hanno conquistata, a partire dai Greci ai Romani, fino agli Spagnoli, agli Austriaci ed ai Francesi.
I risultati di questa ultra secolare stratificazione è stata la creazione dell’animus del napoletano: socievole, pronto a fare amicizia, disponibile ad aiutare il forestiero ed a favorirne l’integrazione nel tessuto sociale.
Miti e tradizioni hanno subito una trasformazione che ne ha fatto dimenticare i caratteri originari. Un solo esempio fra tanti: la festa di Piedigrotta che, da rito pagano orgiastico in onore del dio Priapo, è divenuta prima una festa religiosa per scatenarsi poi, soprattutto in epoca laurina, in un’esplosione gioiosa di energie primordiali tra maestosi carri allegorici, coppoloni, mano morte, schiamazzi e trasgressioni di ogni tipo.
Negli ultimi decenni il fenomeno migratorio ha assunto un andamento pluridirezionale: da un lato i giovani migliori, laureati e diplomati, prendono tristemente la via del Nord e dell’Estero, privando la città dell’energia vitale indispensabile per arrestare una decadenza ormai irreversibile e nello stesso tempo una marea di extracomunitari, in fuga da guerre e carestia, sceglie Napoli come meta di riscatto civile, sicura almeno di trovare il minimo per sopravvivere. E la città si dimostra impreparata rispetto al passato ad accogliere con un caloroso abbraccio questo “melting pot”, il quale diventa ogni giorno più pressante, rischiando di rompere gli argini come un fiume in piena.

Migranti

Campo rom

Percorrendo Piazza Garibaldi o Piazza Mercato siamo sommersi dai suoni ma principalmente dagli odori di una città multietnica: kebab, couscous, pizze fritte e piede di porco, pesci marinati e trippa. Ma la sera, scomparsi gli ambulanti, cominciano a confluire razze di ogni tipo: magrebini, cinesi, rumeni, polacchi, somali, nigeriani, che si posizionano senza alcun tentativo di instaurare un principio armonico di convivenza.
E questa situazione di cesura la percepiamo più distintamente se ci trasferiamo nelle favelas e nelle baraccopoli che costituiscono le dimore di questi poveri disperati ed il fenomeno può essere osservato chiaramente se prendiamo come punto di riferimento il parco fantasma della Marinella. Una vergogna nel cuore della città; laddove doveva sorgere uno spazio verde di 30000 mq. Ci sono soltanto baracche e veleni, dolore e lacrime, miseria ed abbandono, emarginazione ed una punta di razzismo, mentre si respira la puzza del pesce marcio e si avverte il fruscio di ratti che si aggirano spavaldi tra i cumuli di monnezza.

L’unica nota lieta è il sorriso dei piccoli rom che tornano sorridenti dalla scuola con lo zainetto sulle spalle.La Marinella è un girone dantesco per uomini e donne che hanno commesso il solo peccato di esistere e di cercare lontano da casa un’opportunità per sopravvivere in un ghetto dominato dalle regole dell’apartheid, dove ogni giorno si scatena una guerra per bande per il controllo del territorio, con gli zingari nel ruolo di sopraffattori.
Le baracche hanno invaso buona parte dell’area ed ogni giorno ne spunta una nuova facendosi largo tra le montagne di rifiuti, mentre tutt’attorno carcasse di animali ed un rudimentale pozzo nero che travasa facendo suppurare una melma putrescente paradiso delle zoccole.

Campo rom

Campo rom

I primi a colonizzare il luogo furono gli arabi, dopo poco scacciati dagli africani e con loro vi è anche un gruppo di ucraini senza permesso di soggiorno. Poi sono arrivati i nomadi che vivono rubando ferro e rame e 3-4 volte alla settimana bruciano pneumatici per estrarre il metallo ammorbando l’aria.
Gli unici volontari che si fanno vedere sono quelli della Caritas, portano marmellata e Nutella, ma la popolazione ha bisogno di cibo vero e si beffano gettandole via, ripetendo senza sapere che la storia si ripete ed il pane non si sostituisce con le brioche come al tempo della regina Maria Antonietta.

Un altro problema parzialmente affrontato è il rispetto della libertà di culto per stranieri di fede diversa dalla nostra, soprattutto islamici. Il sindaco De Magistris ha promesso che saranno realizzati una nuova moschea ed un cimitero, ma fino ad oggi il luogo di preghiera è costituito, salvo una piccola moschea in Via Corradino di Svevia, dall’immensa Piazza Mercato dove il venerdì vi è una folla straripante che ascolta un Imam originario di Boscotrecase e convertitosi nel 1996, quando il ritrovamento di una moneta araba fu come una folgorazione e lo spinse a studiare Shari’a a Medina. Egli ritiene che solo l’Islam è la vera religione dei poveri e degli ultimi.
Osservare un migliaio di ragazzi stranieri radunarsi in uno dei punti più antichi della città, teatro dei principali episodi della sua storia, pregare sotto la guida di un Imam napoletano, mentre tutt’attorno si svolge il solito caos quotidiano ha fatto affermare a più di un visitatore che Napoli è la città araba più accogliente dell’Occidente.

Preghiera islamica

Preghiera islamica